L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1964 – GIUSEPPE SARAGAT – IX^ e X^ VOTAZIONE

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L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1964 – GIUSEPPE SARAGAT – IX^ e X^ VOTAZIONE

La elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana

L’UNITÀ

ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Quotidiano / sped. abb. postale / Lire 50                           * * Anno XLI / N. 50 (346) / martedì 22 dicembre 1964

MARIO ALICATA Direttore
LUIGI PINTOR Condirettore
MASSIMO GHIARA Direttore responsabile

 

 


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Una lettera di Longo ai segretari del PSI, PSDI, PRI e PSIUP
Il PCI sollecita tutte le sinistre a unirsi contro la prepotenza dorotea

L’incontro tra i cinque partiti per una intesa comprendente le sinistre d.c. è stato impedito dal rifiuto socialdemocratico – Rottura nel «fronte » laico – La candidatura di Nenni votata solo dal PSI, mentre PRI e PSDI si astengono continuando a proporre Saragat – Nelle votazioni di ieri (la 9^ e la 10^) Leone continua a calare, Fanfani e Pastore si consolidano – A tarda sera Pastore rinuncia alla candidatura con una significativa dichiarazione antidorotea – Oggi alle ore 11 nuova votazione

Ieri, sesta giornata di votazione per il presidente della Repubblica, il PCI ha preso la iniziativa di rivolgersi al PSI, al PSDI, al PSIUP e al PRI, invitandoli ad un incontro comune per stabilire una candidatura capace di stroncare la manovra di blocco dei dorotei.
L’iniziativa del PCI, che ha messo in movimento tutti i settori, producendo spostamenti, nuovi contatti e prese di posizione, si è concretata in una lettera del compagno Longo ai segretari dei quattro partiti. In essa si afferma:

«Cari amici, i risultati degli otto scrutini svoltisi fino a questo momento indicano che siamo giunti a una cristallizzazione di posizioni che impedisce di arrivare ad una conclusione positiva delle elezioni presidenziali. Le cifre dimostrano che anche una convergenza su un unico candidato di tutti i voti raccolti nelle varie votazioni dai partiti di sinistra non permetterebbe di eleggere un Presidente che fosse unicamente espressione di questo blocco di forze. Nello stesso tempo, però, si è rivelata una maggioranza possibile, comprendente anche forze della sinistra democristiana, di circa 560 voti, che potrebbe decidere positivamente il risultato delle elezioni a favore di un candidato che si presenti come una alternativa al candidato imposto dal gruppo di potere doroteo. In questa situazione una grave responsabilità verrebbe a ricadere su di noi se non compissimo uno sforzo per trovare insieme il modo di dare espressione unitaria a questa somma di voti. Ci sembra quindi che sarebbe opportuno cercare una intesa concreta tra i nostri cinque partiti e pertanto vi preghiamo di manifestarci il vostro pensiero circa un eventuale incontro da tenersi, possibilmente prima della prossima votazione, al livello che riterrete opportuno».

La lettera di Longo riceveva la risposta positiva del PSI e del PSIUP. Il compagno Vecchietti rispondeva:
«Caro Longo, accettiamo la tua proposta di un incontro dei cinque partiti allo scopo di cercare di sbloccare la situazione. Come ben sai noi, fin dalla quarta votazione, abbiamo votato Fanfani, ritenendolo l’indicazione più conforme alla nostra politica generale nel quadro delle possibilità parlamentari».

De Martino a sua volta rispondeva:
«Caro Longo, in risposta alla tua lettera di questa mattina, ti comunico che il partito socialista accetta il vostro invito di partecipare ad una riunione comune dei partiti della sinistra per esaminare il problema della elezione del Presidente della Repubblica. ln attesa di conoscere se anche gli altri partiti daranno un’analoga decisione mi riservo di prendere accordi intorno all’ora e al luogo della riunione stessa, qualora essa risulti possibile».

È toccato, anche in questo caso, al PSDI fare naufragare l’accordo, rifiutando la riunione. Alcuni portavoce del PSDI, prima ancora che venisse formulata una dichiarazione ufficiale, facevano sapere che Saragat non avrebbe accettato la riunione comune. Appresa questa informazione, La Malfa rispondeva a sua volta a Longo che, essendo ormai reso impossibile l’incontro, una risposta del PRI all’invito era da considerarsi superflua. La Malfa aggiungeva tuttavia: «Confermiamo la nostra volontà di stabilire, nello spirito della odierna e nota proposta del nostro gruppo, tutti i contatti utili ad affrettare la soluzione del problema della elezione del Presidente della Repubblica».


pag. 1 e ultima

Mentre Leone ha continuato a scendere
Fanfani stabile – Pastore rinuncia – I socialisti votano per Nenni
PSDI e PRI continuano ad astenersi, e così pure da ieri il MSI – Incidenti in aula per l’anomalia di questa procedura

Per due volte, alle 11 del mattino e alle 18 del pomeriggio, si ieri riunita l’Assemblea dei senatori, dei rappresentanti regionali e dei deputati chiamati a votare per il Presidente della Repubblica. Ambedue le votazioni sono risultate nulle. Una nuova votazione è stata indetta per le ore 11 di stamane e un’altra è prevedibile per il pomeriggio. La tipografia della Camera sta stampando ancora migliaia di schede. Le diecimila che erano state preparate fin da mercoledì scorso si sono rivelate infatti largamente insufficienti.

I risultati del nono e del decimo scrutinio indicano che la situazione va sviluppandosi con estrema lentezza e che i contatti, che pure ci sono stati nella giornata di ieri, tra i leaders dei vari gruppi, non hanno portato ad alcun accordo. Un dato è passibile però sottolineare come certo, ed è il continuo logoramento della candidatura dell’onorevole Leone: egli ha raggiunto infatti, al decimo scrutinio, con il concorso dei liberali, solo 299 voti il che significa che non più di 245 democristiani hanno votato, nonostante le raccomandazioni, le pressioni e i ricatti per il candidato della segreteria del partito.
Si tenga conto che al primo scrutinio, quando per lui votavano soltanto i d.c., Leone aveva ottenuto 319 voti. Da mercoledì a ieri quindi l’onorevole Leone ha perduto almeno 74 voti democristiani. Si tratta di voti che vanno progressivamente ad ingrossare le file dei candidati dissidenti: Fanfani che è arrivato a 129 e Pastore che è tornato a quota 40. ln serata, come riferiamo in altra parte del giornale, Pastore ha ritirato la propria candidatura. Non è da escludere, contemporaneamente che certo numero di democristiani legati all’on. Scelba e di liberali voti per Paolo Rossi che ha avuto nell’ultima votazione venti schede. L’ultimo scrutinio ha visto emergere anche candidatura Nenni che ha ottenuto tutti i voti dei socialisti. Nel corso della seduta i socialisti si erano ancora astenuti salvo una quindicina (tra cui Lombardi, Giolitti e Pertini) che avevano preferito non prendere parte alla votazione.

Nel pomeriggio essi sono tornati in aula e hanno deposto nell’urna la loro scheda con il nome del vice presidente del Consiglio. Socialdemocratici, repubblicani e missini invece hanno continuato ad astenersi.
L’Assemblea durante lo scrutinio serale accusava qualche segno di stanchezza. I risultati non promettevano nessuna novità e anche il numero dei parlamentari che teneva il conto dei nomi scanditi da Bucciarelli-Ducci era andato diminuendo. Gronchi, unico ex Presidente della Repubblica in aula, e arrivato in ritardo, ha votato al secondo al secondo appello alle ore 19.30 e a seguito poi lo scrutinio seduto solo, al banco delle commissioni.

La nona e la decima votazione, ambedue nulle, sono state contraddistinte ieri da un generale stato di irritazione e di nervosismo, non nel «Transatlantico», ma anche nell’aula dove sono scoppiati alcuni incidenti, anche se subito composti dall’intervento del presidente. Il primo di questi scontri si è avuto, ieri mattina, in aula, quando è apparso chiaro che senatori e deputati missini avevano deciso di astenersi, come avevano già fatto, nel corso della votazione di domenica socialisti, socialdemocratici e repubblicani. In questo modo l’azione di controllo sui voti viene esercitata con particolare rigore dalle segreterie dei gruppi: ad una disposizione di votare per un certo candidato o di votare scheda bianca, infatti, si può sempre derogare., salvaguardati dal segreto dell’urna, ma con l’astensione ciò non è più possibile. Così l’astensione è certamente, in votazione di questo tipo, l’espediente più efficace ai fini del controllo dei voti del singoli gruppi.

Quando, pochi istanti dopo l’apertura della seduta, il missino Gray ha annunciato la sua astensione, alcuni comunisti, tra cui l’on. Abenante e l’on. Adamoli hanno protestato gridando: “È inammissibile. Tanto vale fare il voto palese!». Gray ha replicato qualche parola che non è giunta fino alla tribuna stampa, mentre si sono visti chiaramente i missini Michelini ed Almirante scendere nell’emiciclo agitati, dirigendosi verso il settore comunista.
« Fate silenzio e lasciate procedere la votazione!», addetto a questo punto il presidente Bucciarelli Ducci. Ma l’incidente, chi sembrava del tutto sedato, è scoppiato poi sui settori di sinistra, quando il compagno Luzzatto, del PSIUP, si è rivolto ai parlamentari socialisti che dichiaravano ancora la loro astensione, dicendo «Dovreste vergognarvi! se non avete il coraggio di votare, andatevene a casa». Alcuni deputati socialisti, tra cui il ministro Mancini, hanno reagito e la discussione stava crescendo di tono quando Bucciarelli-Ducci è intervenuto: «Questa è una votazione seria! -ha gridato – il presidente del seggio sono io e intendo svolgere la mia funzione in pieno diritto come prescrive il regolamento. Perciò invito tutti a non intralciare le operazioni di voto! ».
C’è stato uno stanco plauso per le parole del presidente, poi la votazione è ripresa.
Ma non era passato che qualche istante quando un altro grave episodio si verificava. Ne erano protagonisti questa volta due missini. il deputato Grilli e l’on. Delfino, segretario alla presidenza addetto in quel momento alla «chiama» dei deputati. L’on. Grilli infatti, rifiutando di accettare la direttiva del gruppo di astenersi dal voto, si è avvicinato alla presidenza con la sua scheda in mano. Ma l’on. Delfino non ha nemmeno chiamato il collega dissidente ed è saltato direttamente dal nome di Ghezzi quello di Grimaldi. Agitando la scheda, dell’ingresso del corridoio formato dal banco del governo e da quello della presidenza l’on. Grilli ha detto, agitatissimo: «Ed io, non posso votare?». Delfino è rimasto un attimo imbarazzato poi si è scusato, sotto gli occhi del presidente Bucciarelli Ducci.

La seduta antimeridiana, nervosa e tesa, si chiusa su un episodio di gentilezza del presidente. L’on. Cassiani, democristiano, che si è fratturato il femore in un incidente stradale e che era mancato alle precedenti sedute, ha chiesto di poter partecipare alle votazioni di ieri Egli è entrato in aula su una carrozzina da invalido, allora, con il consenso della Camera, l’urna è stata presa in consegna dar segretario onorevole Passoni, del PSIUP, che si è recato nell’emiciclo, dove l’on. dove Cassiani ha potuto esprimere, restando seduto, il suo voto.
Lo scrutinio è incominciato alle 12,35; Bucciarelli-Ducci leggeva le schede al ritmo di 30 circa al minuto. Dopo cinque minuti questi erano i risultati: Leone voti 70,Terracini 50. Fanfani 25, Pastore 10, Rossi Paolo 3, schede bianche 3.
Si aveva l’impressione che le posizioni, in questo scrutinio non tendevano a mutare. Ogni candidato riacquistò infatti sostanzialmente i propri voti, al di là di ridottissimi mutamenti puramente tattici (Fanfani ad esempio aveva avuto quattro voti di meno, ma Pastore ne ha avuti sei di più in confronto alla di domenica sera). Paolo Rossi è salito a 16 voti. Tre sono i voti dispersi: uno è per De Marsanich (si tratta probabilmente del vota del missino Grilli), uno per Tupini ed uno Pacciardi.


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Appello alla responsabilità

LE DUE votazioni svoltosi ieri, e specialmente l’ultima, c’inducono a ripetere, con più energia, l’invito alla riflessione già da noi rivolto due giorni fa.
Il voto ufficiale della Democrazia cristiana continua a indirizzarsi verso Leone. E’ vero che esso è ormai soltanto un voto di copertura del vuoto che la DC, a causa dell’ostinazione dorotea, si è creato alle spalle e che non sa ora come colmare. Ma quando e come il gruppo dirigente della DC si convincerà definitivamente che il suo piano primitivo è fallito, e che esso dovrà necessariamente seriamente trattare con altri gruppi, e in primo luogo col nostro gruppo, e con le sue correnti interne, una diversa soluzione? Il tempo passa, l’opinione pubblica si fa inquieta. Ma va detto con chiarezza che non con il Parlamento essa deve prendersela ma unicamente con il gruppo dirigente dc, in primo luogo con i più fanatici leaders dorotei fra i quali continua a distinguersi Colombo, contro la cui prepotenza il Parlamento ha fino ad oggi :combattuto una battaglia legittima e non potrà non continuare combatterla finché la DC non si deciderà ad avanzare proposte nuove e valide e si imiterà a prudenti «assaggi» che testimoniano certo delle sue difficoltà ma, cosi come concepiti, sono destinati a lasciare il tempo che trovano.
LO STESSO invito alla riflessione non può però non essere rivolto, pure in un senso diverso, al PSI, al PSDI, al PRI. A questi partiti, e al PSIUP, il nostro partito, dando una nuova prova di buona volontà, aveva avanzato ieri mattina l’invito ad un contro per esaminare in comune la situazione e per trarre le conseguenze del fatto che le votazioni hanno confermato l’esistenza nell’assemblea di 560 voti circa (una larghissima maggioranza), capaci di esprimere un candidato non imposto dai dorotei, e che potrebbe essere individuato con estrema facilità, dove non persistessero, in alcuni partiti e aggruppamenti, inaccettabili e reciproche preclusioni di carattere personale.
IL PSDI non ha accettato (a differenza del PSI e del PSIUP) il nostro invito e così il PRI. Perché? Con quali prospettive? Il blocco «laico» preconizzato da La Malfa, e nato fin dall’inizio sotto cattiva ella, si è frantumato. Il PSDI e il PRI continuano nell’atteggiamento sterile, e perfino discutibile dal unto di vista regolamentare, dell’astensione. Il PSI improvvisamente., alla decima votazione, e senza darne una chiara motivazione, ha deciso di orientare il suo voto sul nome di Nenni, che allo stato dei fatti – non essendo stata la sua candidatura concordata con le altre forze della sinistra, laica e cattolica – non può apparire che come un voto «di bandiera». Il voto socialista per Nenni ha avuto il solo merito di sottolineare come, oltre la larghissima maggioranza di 560 voti prima indicata, un’altra esisterebbe, e assai limpida e chiara, costituita dai 253 voti comunisti, dai 96 voti socialisti e dai voti di Fanfani e del PSIUP.
ANCORA una volta, gli unici elementi positivi e indicativi di una soluzione diversa da quella dorotea – che la schiacciante maggioranza dell’assemblea rifiuta -restano infatti i voti comunisti, che conservano il loro carattere di proposta per una soluzione unitaria appoggiata ad un largo arco di forze democratiche laiche e cattoliche; e i voti democristiani di opposizione antidorotea. I quali, tuttavia, a questo punto, commetterebbero un errore nel continuare a dividersi su due candidati diversi: Fanfani appoggiato già dal PSIUP e Pastore. Ed è augurabile che in questo senso vada interpretata, e non come una capitolazione dinanzi ai dorotei, la generosa e significativa «rinunzia» dell’on. Pastore. Nel registrare il rifiuto dei socialdemocratici ad una soluzione unitaria noi abbiamo ripetuto che non cesseranno i nostri sforzi per arrivare comunque a tale soluzione C’è però da aggiungere che comincia la stagione in cui la responsabilità dei singoli partiti si fa più pesante. Non basta resistere passivamente alla prepotenza dorotea. Con uno sforzo unitario positivo essa può essere battuta. Chi a tale sforzo si rifiuta non si può cominciare a sottrarre ad un giudizio politico negativo, e perfino al sospetto che la sua resistenza è in via di cedimento, che si è alla ricerca di una manovra di conversione su una soluzione dorotea di ricambio. Della quale manovra molto si parla, perfino in termini che suonano grotteschi; come quando si parla «seriamente» di una possibile candidatura cosiddetta «laica» ma accettata dai dorotei, quale quella del socialdemocratico-pacciardiano Paolo Rossi, ieri sera portato a venti voti da un primo piccolo, ma significativo apporto di voti liberali o scelbiani.

Mario Alicata


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Il fanatico

Certo la gente, l’opinione pubblica, stenta a cogliere il senso di quanto sta avvenendo da diversi giorni a Montecitorio, e la stampa di destra o benpensante ne approfitta per una facile polemica contro le istituzioni democratiche e per seminare sfiducia e qualunquismo.
Ma che cosa sta accadendo, in realtà? Sta accadendo che da diversi giorni neppure tutta la D.C. ma una sua parte, anzi una parte de suo gruppo dirigente, anzi e soprattutto un suo singolo dirigente, stanno dando una spettacolo di faziosità senza precedenti: in ciò. e solo in ciò, è la causa della mancata elezione del Capo dello Stato.
E chi è questo singolo dirigente che capeggia la fazione? Il suo nome è ormai noto per essere al centro di vicende l’una più sgradevole dell’altra: è il «doroteo» on. Emilio Colombo, che al fanatismo politico assomma — in nefasto accoppiamento — il culto dell’interesse e del potere personali.

Un giornalista non certo di sinistra, Enrico Mattei, ha scritto sull’ultimo numero di Tempo queste parole a proposito del tornaconto che i «dorotei» e l’on. Colombo in particolare trovarono già due anni fa nell’elezione di Segni (coi voti fascisti) al Quirinale: «Dobbiamo obbiettivamente riconoscere che l’obbiettivo (doroteo) fu raggiunto pienamente, se dobbiamo credere a quel che si racconta sui decisici interventi dell’on. Segni per assicurare la promozione a ministro d’ un sottosegretario doroteo. peraltro eccellente persona. e per salvaguardare un altro personaggio doroteo, altra persona non eccellente ma eccellentissima, dai riflessi negativi di una infelice vicenda giudiziaria Ecco dunque spiegato perché l’eccellentissima persona dell’on. Emilio Colombo ha prima congelato per mesi crisi del Quirinale ed ora contrappone la sua fazione al Parlamento e a parte del suo stesso partito per impedire una soluzione democratica della crisi.

Ecco chi sono i fanatici che, per calcoli di potere personale e magari per continuare a evitare i «riflessi negativi di una infelice vicenda giudiziaria«, insidiano la vita democratica. Ecco contro chi deve appuntarsi la critica e il malcontento dell’opinione pubblica, critica e malcontento che la stampa amica dei fanatici tenta invece di indirizzare contro il parlamento e le forze democratiche impegnate in una difficile battaglia.


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Manovre e trattative a Montecitorio
Le «scomuniche» non hanno fruttato neanche un voto
Vivaci dissensi fra Saragat e Nenni – Furibonde pressioni dorotee

«Pasqua con chi vuoi Natale senza i tuoi» ormai le battute a Montecitorio non si contano. Questa è quella di un senatore democristiano, ma ce n’è stata anche un’altra, buona, di un deputato liberale: «E’ inutile avere fretta, ha detto, perché ci troviamo nel pieno di una delle consuete manovre dilatorie di Moro: ci sta facendo aspettare i suoi cinquant’anni per potere essere lui l’eletto.»

Le votazioni vanno per le lunghe, tattiche e manovre si moltiplicano, si sovrappongono, si contraddicono; una voce controllata o controllabile si può dire non esiste più e le notizie vengono date, dagli stessi interessati, non per comunicare qualcosa che è veramente accaduto, ma allo scopo precipuo di comunicare quello che si vorrebbe fosse accaduto. In tal modo si riescono a creare suggestioni psicologiche, del tipo di quelle già note alle aziende industriali che vogliono influenzare l’io incosciente del consumatore.
I dorotei sono i più brutali nella tattica del «persuasore». Per esempio, ieri, ogni deputato democristiano si è trovato in casella una fotocopia di un articolo del padre Guzzetti, comparso ieri l’altro sul giornale della Curia milanese l’Italia. L’articolo definisce Fanfani un «pubblico peccatore» e, quindi, senza andare troppo per il sottile, dichiara che la gerarchia ecclesiastica non potrà permettere che vengano rieletti deputati quanti si sono così gravemente compromessi rompendo l’unità dei cattolici italiani. Dopo questa minaccia di tipo mafioso, ci si aspettava una reazione vaticana. C’è stata, ed è stata un richiamo – inopportuno, comunque – alla unità: il corsivetto de l’Osservatore Romano, si è però commentato, era di tono ben diverso da quello, truculento, del giornale della Curia milanese, il quale sembra rispecchiare piuttosto che gli umori dei cattolici della diocesi ambrosiana, quelli della grande borghesia capitalistica, furiosamente ostile alla candidatura Fanfani. E infatti, quell’articolo non ha avuto alcun effetto: anzi Fanfani, al secondo scrutinio di ieri, avvenuto dopo l’uscita del giornale vaticano, ha recuperato un voto, salendo a quota 129.

«Non solo i cittadini elettori – commentava un senatore democristiano – anche i parlamentari cattolici, ormai non hanno più paura delle finte scomuniche».
Del resto, nel pomeriggio, era circolata la voce che Moro stesso era sceso in campo per raccogliere voti a favore di Pastore in funzione antifanfaniana: l’incarico, è stato detto, era affidato alla onorevole Elisabetta Conci. La voce sull’iniziativa morotea è comunque rimasta soltanto tale.
L’aspetto più grave, deleterio, di questa lunga vigilia è rappresentato dalla azione brutale che svolge il gruppo di Colombo. Il ministro non lascia mai Montecitorio, ogni arma di ricatto viene usata; i vescovi dei deputati «sospetti» di fanfanismo sono mobilitati per inviare reprimende e per organizzare «proteste» degli elettori dei singoli parlamentari. Forse è proprio lo spettacolo di questi metodi, insieme a quello dell’insipienza dei partiti di maggioranza, che rafforza, al di là di ogni altra considerazione, la dissidenza fanfaniana. Una dissidenza che ieri è sembrata rafforzarsi quando si sono visti Fanfani e Pastore allontanarsi dal Transatlantico per appartarsi in un corridoio, tenendosi strettamente sottobraccio. Il colloquio fra i due, si è detto, è durato oltre un’ora, e c’è chi sostiene che da questo colloquio sia scaturita la decisione di Pastore di rinunciare alla candidatura, in questo caso ad evidente favore di Fanfani.

Se in campo democristiano regnano lo sconforto di quanti continuano ancora a votare per Leone e la prepotenza barbarica dei dorotei oltranzisti, in campo laico le cose ieri non sono andate meglio. Le voci di nuove unità intorno alla candidatura Nenni, sono nate nella mattinata. Un giornalista aveva sentito Vecchietti, segretario del PSIUP, dire ad un suo collega (erano le 13,30): «Ti lascio, devo dare di corsa perché sono a colazione con il segretario socialista». Un incontro privato De Martino-Vecchietti? Fermento generale nel sottobosco e poi il chiarimento: Vecchietti andava sì a colazione con un segretario socialista, ma con quello del partito cileno che è a Roma di passaggio.
E’ nata poi la voce di uno scontro violento (con insulti del tipo «mascalzone e bugiardo» fra Saragat e Nenni Poi la notizia è stata in parte smentita: si detto che, con violenza ma con maggiore urbanità, Saragat aveva accusato ieri l’altro Nenni di avere tramato dall’inizio per presentare di sorpresa una sua candidatura in funzione anti Saragat. Certo è che i socialisti erano ben poco soddisfatti del modo in cui sono stati portati prima all’astensione umiliante di «controllo» e poi al voto «bruciato» su Nenni. Pertini, si è detto, ha rifiutato il proprio nome per il voto del suo gruppo; Greppi, al quale è stata proposta la candidatura, ha risposto: «Mi voterete voi, io voto per Fanfani».

Una giornata ancora difficile e faticosa: la marcia continua estenuante con l’obiettivo fondamentale di battere l’ostinazione dorotea. «Fermeremo l’orologio il 24 a mezzanotte – diceva ieri un deputato democristiano – e cosi faremo il nostro buon Natale cristiano, perfettamente in regola, dopo Capodanno».

u.b.