L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1964 – GIUSEPPE SARAGAT – XI^ e XII^ votazione

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L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1964 – GIUSEPPE SARAGAT – XI^ e XII^ votazione

La elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana

L’UNITÀ

ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Quotidiano / sped. abb. postale / Lire 50                           * * Anno XLI / N. 347) / mercoledì 23 dicembre 1964

MARIO ALICATA Direttore
LUIGI PINTOR Condirettore
MASSIMO GHIARA Direttore responsabile

 

 


pag. 1 e ultima

La candidatura dorotea si qualifica di estrema destra
Leone di nuovo battuto malgrado il ritiro di Fanfani e i voti fascisti
All’aiuto del MSI fa riscontro una nuova fuga di oltre 20 d.c. – Le schede bianche salgono a 120 nella 12 a votazione
II PSI continua a votare Nenni – Verso nuove candidature? – Alle 10,30 di oggi la tredicesima votazione

Altre due fumate nere ieri. a Montecitorio, nell’undicesima e nella dodicesima votazione per eleggere il Presidente della Repubblica. Il candidato doroteo, Giovanni Leone, nonostante Il ritiro delle candidature di Pastore e dl Fanfani e il voto dei fascisti del MSI, venutigli in soccorso (come già da qualche giorno avevano fatto liberali), nel pomeriggio, dopo essersi astenuti alla nona, alla decima e all’undicesima tornata non ce l’ha fatta ad ottenere la maggioranza assoluta di 482 suffragi.
Anzi, i risultati del dodicesimo scrutinio sono, al di là delle cifre ancora peggiori, per lui, di quelli dei precedente.

L’on. Bucciarelli-Ducci li ha comunicati alle 19 a una assemblea attentissima e tesa, annunciando quindi che la tredicesima votazione si svolgerà stamattina, alle 10 e 30. Eccoli: presenti e votanti 945, Leone 401 voti, Terracini 250, Nenni 104 (nella votazione antimeridiana ne aveva avuti 98) Malalagugini 35, Montini 7, Saragat 6 (non aveva avuto nessun voto nell’undicesima votazione), schede bianche 120, schede nulle 4, voti dispersi 18 (tra cui 5 a Rossi, 4 ancora a Fanfani e 2 a Pastore).
I voti fascisti hanno dunque accresciuto il profondo disagio e la confusione all’Interno dei gruppi dc: lo dimostrano l’aumento delle schede bianche che, da 100 all’undicesima votazione (fra cui, oltre a quelle del PSDI, una cinquantina di dc) sono salite a ben 120, e anche dei voti «dispersi», la maggior parte dc quali, in particolare quelli dati al senatore dc Montini, fratello del papa, hanno un evidentissimo carattere polemico contro le interferenze e le pressioni vaticane, che hanno contribuito in modo determinante a indurre Fanfani alla rinuncia.

Praticamente, Leone non ha recuperato nessun voto del parlamentari di «Nuove cronache» i quali, se non hanno potuto più votare per il loro candidato, non hanno accettato quello doroteo, non si sono rassegnati a subire il sopruso che il gruppo di potere che domina la DC intenderebbe imporre al Parlamento. D’altra parte, anche diversi sindacalisti amici di Pastore e «basisti» non se la sono sentita di unire il loro voto a quello dei missini. Il numero dei parlamentari dc «dissidenti» è rimasto cosi, fino a ieri sera, certamente superiore al centinaio.
Le comunicazioni del presidente dell’Assemblea hanno suscitato vivacissimi commenti e molte discussioni fra deputati, i senatori e i delegati regionali.
Leone aveva votato alle 17.45: dopo di che, era tornato al suo posto, passando ostentatamente attraverso il settore dove siedono, all’estrema destra, i deputati del MSI, con i quali aveva scambiato saluti e sorrisi assai cordiali. Poco dopo, egli era sceso nell’emiciclo e si era messo a conversare con il segretario politico della DC. Rumor.

Man mano che procedeva lo scrutinio, si avevano alcune sorprese; ogni scheda con il nome Montini (sono state 7, quattro in più che nella votazione mattutina) suscitava commenti e ilarità: un lungo mormorio provocava una scheda con il nome di Emilio Colombo (annullata, come un altro voto dato ad un oscuro parlamentare dc, l’on. Buffone, perché l’intraprendente ministro doroteo non ha compiuto cinquant’anni): due voti, fra la sorpresa generale, andavano a Giuseppe Dulci.
I parlamentari dc salutavano, infine, con un applauso la comparsa in aula, per la prima volta da mercoledì, del vecchio senatore Cingolani.

Nella mattinata l’undicesima votazione era iniziata ln un’atmosfera molto tesa e confusa – da poco l’onorevole Radi aveva comunicato la rinuncia anche di Fanfani dopo quella di Pastore – qualche minuto dopo le 11.
Una novità, rispetto alla decima votazione di lunedì sera, veniva subito notata: il sen. Angrisani, primo elettore del PSDI, anziché astenersi, deponeva la scheda (bianca) nell’urna, e cosi facevano tutti i suoi colleghi socialdemocratici, senatori e deputati, Saragat compreso. Continuavano invece ad astenersi missini. Qualche incertezza sussisteva circa l’atteggiamento dei cinque deputati del PRI, dei quali., alla prima «chiama», si presentava il solo on. Melis: gli altri (Camangi, Montanti e il ministro Reale) arrivavano e votavano al secondo appello: l’on. La Malfa, invece, non partecipava alla votazione.
La cronaca offre qualche elemento interessante: per es. il ritardo di molti parlamentari di Nuove Cronache (non di Fanfani, però, che votava puntualmente appena chiamato), che si presentano al secondo appello (folto, ieri mattina, come mai era finora accaduto) e del ministro Colombo e di Moro, questa volta arrivato proprio in extremis. Quando, trafelato, fa il suo ingresso in aula, agitando la scheda e fendendo la calca, Colombo, che ha avuto una parte di primissimo piano nella manovra dorotea «pro Leone», è accolto da un brusio generale: «Largo, largo all’on. Colombo Emilio!», esclama ironicamente una voce dai banchi comunisti.
Si hanno anche le consuete scene patetiche: oltre al tradizionale arrivo dell’on. Bonomi sorretto dal fido on. Vetrone, ecco un dc in carrozzella, l’on. Biasutti, passa, trainato da un « amico», davanti all’«insalatiera» e vi infila la scheda.

Comincia quindi lo scrutinio, seguito con estrema attenzione dai parlamentari, dal pubblico e dai giornalisti. La prima scheda è bianca, seconda è per Paolo Rossi (si commenta: «bianco» «rosso» e qualcuno in aula, forse per scaricare la tensione, ride), la terza bianca, seguono due schede per Leone, una per il compagno Terracini, per cui continuano compatti a votare gruppi comunisti, altre per Leone, tre bianche, infine una per Nenni e una per il compagno Malagugini, a favore del quale vota il PSIUP, dopo il ritiro di Fanfani. E’ già chiaro che schede bianche (alla fine saranno 100 esatte) sono destinate ad aumentare sensibilmente: non siamo ancora a 250 schede scrutinate e già 40, quattro in più della «punta massima» (36) registrata al sesto scrutinio.
Alle 12.35’ un mormorio, fra il sorpreso e il divertito, si leva dall’aula e dalle tribune: è «uscita» una scheda con il nome Montini, che viene attribuita al sen. dc fratello di Paolo VI (il quale non è certo stato estraneo alla decisione di Fanfani di ritirare la sua candidatura); non sarà la sola, ma sarà seguita da altre due, anch’esse attribuibili, con probabilità, alla pesante ironia di parlamentari fanfaniani che non hanno apprezzato l’intervento del Vaticano nell’elezione del Presidente della Repubblica italiana. Il presidente Bucciarelli-Ducci continua, piuttosto nervoso, ma con rapidità, la lettura delle schede. Alle 13 comunica i risultati: presenti 944, votanti 904 (non hanno votato, oltre a Merzagora, al vicepresidente del Senato Zelioli-Lanzini e allo stesso Bucciarelli-Ducci, i dc Nicola Angelini, Cingolani, Pugliese, Bologna, Bova e Cassiani; Roda, Ghislandi e VaIori del PSIUP; Santi e Zagari del PSI; Paolo Rossi del PSDI; Francantonio Biaggi del PLI; La Malfa del PRI; Cucco e Grilli del MSI: l’ex presidente della Repubblica Antonio Segni; astenuti 40 (i missini): Leone 382 voti, Terracini 252, Nenni 98, Malagugini (PSIUP) 36; Fanfani 17, Paolo Rossi (PSDI) 14; Montini (DC) 3: Tupini (DC) 1; nulla (sembra ci fosse scritto, polemicamente: Paolo VI) 1; schede bianche 100.

L’analisi del voto è chiara, e non tale da suscitare l’entusiasmo del gruppo doroteo. Malgrado, infatti, la rinuncia di Fanfani, Leone ha recuperato molto meno di quanto gli sarebbe stato necessario. Egli è passato dai 299 voti della decima votazione a 382 (sempre con il sostegno dei 56 liberali): mancano 100 voti esatti, dunque, per il quorum richiesto, che come si sa, è di 482. D’altra parte, oltre ai tre o quattro voti apertamente polemici contro le interferenze e le pressioni vaticane (Montini e… Paolo VI), ci sono ancora 17 voti per Fanfani, 14 (rispetto ai 20 della decima votazione) per il socialdemocratico di destra Paolo Rossi (che vengono, pare, dalla destra dc) e, soprattutto, oltre 50 schede bianche dc, dato che dei 48 socialdemocratici due erano assenti e che i repubblicani, a quanto si è appreso durante lo scrutinio, hanno votato Nenni, il quale è infatti passato, malgrado le assenze, oltre che del compagno Santi, colpito da malore, di Zagari, da 96 a 98 voti.


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Non passa

L’ON. LEONE, candidato «doroteo» per eccellenza, che da una settimana l’on. Colombo cerca di imporre al Parlamento e al paese, non è passato neppure alla dodicesima votazione.
A farlo passare, non sono bastati né i voti liberali né quelli fascisti. In compenso, questi ultimi sono serviti a caratterizzare la candidatura e la posizione « dorotea » per quello che sono, una candidatura e una posizione di estrema destra, di sfida alla democrazia.
A farlo passare, non sono bastate le interferenze, le pressioni inverosimili che hanno indotto, dopo Pastore, anche Fanfani a ritirarsi. Certo, questa grave vicenda implica e implicherà un più approfondito discorso circa lo stato delle sinistre cattoliche e più in generale lo stato del partito democristiano e della sua autonomia politica. Ma, intanto, pur scomparendo le candidature «dissidenti», l’ostilità anti-dorotea di una parte dei democristiani e l’ostilità più generale a una candidatura di destra ha continuato a manifestarsi attraverso un solido blocco di schede bianche.
Sicché la DC e il suo gruppo dirigente si trovano tuttora dinanzi a un muro. Non possono sperare di ricomporre l’unità democristiana attorno al candidato «doroteo» di destra, per di più nel quadro di un più generale blocco di estrema destra; e, se anche i riuscissero, ciò avrebbe ormai un prezzo incalcolabile sotto innumerevoli aspetti.
LA SITUAZIONE è quindi ancora aperta a un’iniziativa della sinistra, quell’iniziativa che è stata già sollecitata dai gruppi comunisti con le proposte rivolte ai partiti dell’ex fronte laico, ma che è stata finora resa impossibile dalle persistenti divisioni tra questi partiti.
Prima, il carattere non precisato della candidatura Saragat e poi questa divisione intestina hanno impedito di trovare l’accordo – possibile su più nomi – all’interno dell’arco di forze maggioritario che da tutti i settori della sinistra laica giunge fino alle sinistre cattoliche.
Quest’arco di forze non è però venuto meno. I 250 voti comunisti continuano a rappresentare il punto di riferimento obbligato di una soluzione democratica; la dispersione degli altri voti di sinistra si è rivelata così infeconda da sollecitare una uova ricerca unitaria: le schede bianche dimostrano che una parte dei cattolici non ha rinunciato a una elezione conforme alla realtà parlamentare e alla realtà del paese, sottratta ai calcoli di potere di un gruppo di fanatici, alla pressione di forze esterne, alla vergogna dell’ipoteca di destra.
Sussistono tutte le condizioni per indurre a più miti consigli quei dirigenti democristiani che non si identificano con l’ala destra «dorotea» per liquidare definitivamente la candidatura Leone, per battere la prepotenza «dorotea» anche se cercasse di porre soluzioni di ricambio equivalenti, per arrivare a una soluzione democratica

I. pi.


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Una dichiarazione di Longo dopo la rinuncia di Fanfani e Pastore
Il PCI per una soluzione democratica e unitaria
Il commento di Vecchietti – La D.C. non respinge i voti fascisti a Leone – Colombo ha minacciato l’espulsione di Fanfani – Dichiarazione di Ingrao sul voto di oggi

Due fatti nuovi hanno segnato ieri la cronaca politica della ormai travagliatissima vicenda della elezione presidenziale: l’afflusso dei voti fascisti sul nome di Leone, ancora candidato ufficiale democristiano, e la rinuncia alla candidatura da parte di Fanfani.
Il voto fascista a Leone si verificava nella seconda votazione della giornata (la dodicesima) nei termini che vedremo poi. La rinuncia di Fanfani, invece, si manifestava fin dalla undicesima votazione, svoltasi nella mattina.

La notizia della decisione di Fanfani si spargeva a Montecitorio le ore 10, quando l’on. Radi l’annunciava ai giornalisti.
Poco dopo veniva diramata alla stampa una dichiarazione di Fanfani nella quale si leggeva: «L’on. Fanfani ringrazia quanti, facendo convergere i loro voti sul suo nome, hanno indicato la concreta possibilità di una elezione capace di assumere, per larghezza di consensi, il giusto e corretto significato che deve essere a fondamento della suprema magistratura dello Stato. Nella situazione che si è venuta a determinare l’on.le Fanfani fa conoscere agli onorevoli colleghi che hanno votato il suo nome che egli si attiene alle decisioni degli organi responsabili della democrazia cristiana».
Insieme alla dichiarazione, i portavoce fanfaniani davano la notizia che nella votazione che stava per seguire (la undicesima) i voti fanfaniani si sarebbero riversati su Leone. Ciò tuttavia non avveniva che in minima parte. Nella undicesima votazione, infatti, a Fanfani andavano ancora 17 voti e le schede bianche salivano a 100, più di metà delle quali attribuibili a democristiani che fino alla sera prima avevano votato Fanfani.

La dichiarazione di rinuncia di Fanfani. naturalmente, provocava ampi commenti in tutti gli schieramenti politici. Il segretario del PCI, compagno Longo, dichiarava: «I gruppi comunisti hanno preso conoscenza delle decisioni dell’on. Pastore e dell’on. Fanfani. Essi confermano, anche di fronte a questo fatto nuovo la cui portata politica va ancora esaminata, che obiettivo dei comunisti resta quello di impedire la elezione di un candidato imposto dal gruppo doroteo e di favorire la elezione di un candidato aperto alle esigenze di unità democratica e di progresso così forti nelle masse popolari e che possa essere la espressione delle forze democratiche laiche e cattoliche che si sono già manifestate nelle precedenti votazioni. A questo scopo, nello spirito dell’iniziativa già presa ieri e che ieri non ha potuto giungere a buon fine a causa dell’atteggiamento del PSDI, i gruppi comunisti continuano il loro sforzo unitario. In attesa dei risultati dei contatti e degli incontri con le altre forze di sinistra hanno deciso di concentrare ancora una volta i loro suffragi nella 11^ votazione sul nome del sen. Umberto Terracini».
Il compagno Tullio Vecchietti, segretario del PSIUP, a sua volta dichiarava: «Avevamo appoggiato Fanfani in quanto ritenevamo che nelle attuali condizioni parlamentari era il nome che nella DC più si avvicinava alla politica di convergenza fra la sinistra e le forze cattoliche, e all’indicazione dell’elettorato. La maggiore responsabilità della mancata elezione di Fanfani – ha aggiunto Vecchietti – risale ai partiti del centro-sinistra. Anzitutto alla DC, che si è ostinata sul nome di Leone, e poi agli altri partiti che, puntando su Saragat, hanno fatto il gioco della destra democristiana. La candidatura di Leone assume oggi lo stesso significato della candidatura Saragat

LA RINUNCIA Dl FANFANI

Le ricostruzioni dei tempi che hanno condotto alla rinuncia di Fanfani indicano tutte, come momento decisivo, la riunione dei direttivi dc cominciata alle ore 22 di lunedì e terminata alle ore 3.30 del mattino di ieri, martedì. Nel corso di questa riunione i rappresentanti fanfaniani sono rimasti isolati. Sia gli scelbiani che i sindacalisti – che Fanfani annoverava fra i suoi potenziali alleati – si sono schierati, sia pure con motivazioni differenti, su posizioni non convergenti con la candidatura Fanfani. Ha prevalso da un lato la pressione disciplinare, dall’altro la pressione politica di Moro (in particolare per i sindacalisti) e del Vaticano ( per gli scelbiani e anche per gli altri). Sul piano disciplinare Rumor ha reso nota una iniziativa di Colombo volta a porre pubblicamente il «caso» di Fanfani, in termini di censura e minaccia di espulsione. La lunghissima e decisiva riunione dei direttivi, si è chiusa rinviando alla Direzione la decisione pratica sui «provvedimenti» contro Fanfani.
Il leader di «Nuove Cronache» informato del corso della vicenda prendeva atto della situazione e, in particolare, della impossibilità di raccogliere oltre ai suoi, una massa consistente di altri voti democristiani.
Sembra infatti che lo stesso Pastore, all’atto della sua rinuncia avvenuta la sera prima, avesse comunicato a Fanfani di essere in grado di assicurargli soltanto 20 dei suoi 40 voti, essendo la metà di questi controllati da Moro. Caduta la possibilità di una convergenza consistente con i voti di Pastore (e anche con quelli di una parte dei « centristi popolari» visto l’irrigidimento violento della repressione dorotea, Fanfani decideva di rinunciare. Alle ore 9 di ieri mattina egli si incontrava con Rumor e concordava la dichiarazione di rinuncia. La direzione della DC. che era stata convocata per prendere provvedimenti disciplinari in caso di insistenza di Fanfani, veniva disdetta.

I FASCISTI PER LEONE

Si concludeva cosi una fase particolarmente acuta del contrasto tra i dorotei e le opposizioni della «sinistra» dc. E i dorotei, nella undicesima e dodicesima votazione, continuavano a presentare Leone. Malgrado il ritiro delle due maggiori candidature di opposizione democristiane, nella undicesima votazione la situazione di Leone non faceva passi avanti decisivi. Nonostante l’apporto liberale, Leone riscuoteva 382 voti, cento in meno di quelli necessari. I voti in più gli erano stati conferiti da una parte dei fanfaniani e pastoriani tornati alla disciplina, mentre le schede bianche salivano vertiginosamente da 18 a 100. In esse erano compresi oltre ai voti socialdemocratici perlomeno una cinquantina di voti fanfaniani.
Alla dodicesima votazione la situazione appariva ancora più confusa e grave. Infatti, dopo avere ottenuto i voti della destra liberale, questa volta Leone otteneva i voti dei missini. Erano gli stessi deputati del gruppo fascista a dichiarare pubblicamente che avrebbero votato Leone. «In un così difficile momento – dice la dichiarazione del MSI – esaminati i risultati delle votazioni dalle quali emerge che l’onorevole Leone ha riportato una larga maggioranza democristiana mentre i partiti laici di centrosinistra continuano ad ostacolarlo, i parlamentari del MSI hanno deciso di votarlo al prossimo scrutinio ».
La convergenza dei voti fascisti sul candidato doroteo si verificava puntualmente durante la 12^ votazione. Il voto fascista tuttavia, se faceva guadagnare a Leone in cifre assolute 19 voti, (portandolo da 382 a 401) gli costava la perdita di un’altra ventina di voti democristiani. Mentre il voti missini, sono circa 40, l’aumento di Leone è stato solo di 19. I voti dc sottratti ancora a Leone finivano, nella 12^ votazione nelle schede bianche, che infatti passavano da 100 a 120.
Dopo il voto fascista a Leone, la DC emetteva un comunicato che tradiva un notevole imbarazzo, ma che è anche di estrema gravità. In esso si chiamava il fatto che la candidatura Leone corrisponde «agli orientamenti fondamentali del partito». E si aggiungeva che, di conseguenza, il significato che i gruppi parlamentari del MSI vogliono fare scaturire dal loro voto è inaccettabile per la DC. Non si tratta, dunque, di un preciso gesto di rifiuto dei voti fascisti (come era stato preannunciato da qualcuno) ma di una sottile quanto trasparente, distinzione tra i voti (che si accettano) e il «significato» (e solo quello) loro annesso dal MSI che si dichiara inaccettabile.

IL VOTO Dl OGGI

Oggi, antivigilia di Natale, il Parlamento continuerà a votare, fin dal mattino, con una tredicesima votazione. Se non si arriverà ad una conclusione non è escluso che, dopo una breve sospensione di un giorno o due, le elezioni riprendano dopo Natale.
In previsione del voto di oggi, nella serata di ieri si sono svolte molte riunioni. Fra i dc, malgrado le rinunce dei dissidenti non regna l’ottimismo, data la pessima prova fornita da Leone, pur con gli apporti liberali e fascisti. Rumor, tuttavia, dichiarava che anche alla 13^ votazione la DC voterà Leone. Da parte dei laici continua la divisione fra PSI e PSDI: i socialdemocratici, secondo quanto è stato annunciato ieri sera, voteranno scheda bianca. I socialisti continueranno a votare Nenni.
Il nostro partito, ieri, ha riunito la Direzione, che tornerà a riunirsi questa mattina, insieme ai direttivi. Informando i giornalisti. il compagno Ingrao, ieri sera, annunciava che la direzione aveva esaminato la questione delle candidature e aveva deciso di proporre ai direttivi, questa mattina, di appoggiare la candidatura di Nenni.


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Durante le sedute a Montecitorio per la elezione del Capo dello Stato
Deputati e senatori non ricevono nessuna indennità speciale

ln relazione ad alcune voci diffusesi nei giorni scorsi, la Presidenza della Camera ha smentito nel più categorico che i parlamentari ricevano, per le sedate dedicate all’elezione del presidente della Repubblica, prebende o remunerazioni straordinarie. In realtà, deputati e senatori ricevono soltanto normale indennità (senza alcuna aggiunta) nonostante che i lavori si prolunghino in un periodo in cui la Camera dovrebbe essere chiusa.
I parlamentari non ricevono neppure alcun rimborso per presenza a Roma, e dunque, contrariamente quanto si cerca di far credere, il prolungarsi delle operazioni di voto si risolve soltanto – da un punto di vista amministrativo – in loro danno.
La smentita della Presidenza della Camera giunge quanta mai opportuna, dato che forze bene individuabili hanno fatto circolare artatamente voci e notizie tendenti a gettare discredito sulle istituzioni democratiche.