L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1964 – GIUSEPPE SARAGAT – V^ VI^ e VII^ votazione

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L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1964 – GIUSEPPE SARAGAT – V^ VI^ e VII^ votazione

La elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana

L’UNITÀ

ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Quotidiano / sped. abb. postale / Lire 50                           * * Anno XLI / N. 344 / domenica 20 dicembre 1964

MARIO ALICATA Direttore
LUIGI PINTOR Condirettore
MASSIMO GHIARA Direttore responsabile

 

 


pag. 1 e ultima

La prepotenza dorotea ostacola da quattro giorni una soluzione democratica della battaglia per il Quirinale
QUASI METÀ DELLA DC RIFIUTA i voti a Leone appoggiato dal PLI
Alla settima votazione Leone perde ancora 18 voti dc e pare ormai orientato ad abbandonare egli stesso la candidatura – Fanfani è salito progressivamente fino a 132 voti, mentre Pastore è uscito nelle ultime tre votazioni ed ha raggiunto la quota 40 – Ieri giornata cruciale

Ieri giornata cruciale per i due candidati ufficiali
Incertezze sulle prospettive  della candidatura di Saragat
Una lettera del «leader» socialdemocratico ai suoi sostenitori — «Forze Nuove» rompe la disciplina e vota Pastore — Inutili i voti di Malagodi per Leone sempre più «calante» — I suffragi per Fanfani sempre in aumento — L’apparizione di Pastore come terzo candidato — I «quattro» del centro-sinistra a colloquio

La ostinazione del gruppo doroteo che ancora impone alla DC la sua volontà, ha ostacolato anche ieri – malgrado alcuni elementi nuovi che vedremo successivamente – la possibile elezione del Presidente della Repubblica. Anche ieri, infatti, sia in sesta che in settima votazione, i dorotei hanno imposto alla DC di votare per Leone. Per rafforzare il loro, ormai esausto candidato, i democristiani hanno forzato la mano, chiedendo e ottenendo i voti di destra dei liberali.

Ciò è avvenuto, su posizioni di sfida, dopo che per tutta la giornata, nel gruppo dc s’erano manifestati sempre più pronunciati sintomi di opposizione alla linea dorotea, espressi in particolare dall’aumento dei voti di Fanfani e dall’apparizione, con 40 voti nuovi, del nuovo candidato Pastore. La intransigenza «dorotea», dunque, ha congelato la situazione per altre ventiquattrore, impedendo il coagularsi di più feconde soluzioni nell’arco delle forze democratiche.
Questo è il primo giudizio che si può trarre dalle votazioni di ieri, sia la sesta che la settima.

Infatti, la candidatura di Leone ha continuato a perdere voti fra i democristiani. La costatazione è semplice: pur avendo incamerato nella settima votazione i 53 voti liberali, Leone è passato da 278 voti soltanto a 313, con una perdita secca di 18 voti democristiani. Si tratta di altri 18 parlamentari d.c. (di «Forze Nuove» e di altre correnti), che, si sono spostati in parte su Fanfani (il quale ha guadagnato altri tre voti) e soprattutto su Pastore, (passato da 18 a 40 voti, guadagnando voti). Per quanto riguarda Saragat, la situazione (dopo che la settima votazione ha operato un ricupero di voti [7] perduti in sesta), è rimasta invariata, confermando la sterilità della posizione politica chiusa assunta dai tre partiti, attorno al suo nome.

Al termine della settima votazione dopo l’ulteriore e visibile calo di voti democristiani intorno a Leone, si è sparsa la voce di un ritiro della candidatura da parte dell’ex Presidente della Camera. La notizia, è stata confermata da parte di «Forze Nuove». I parlamentari di questo gruppo, appresa la decisione di Leone, decidevano di rompere la disciplina di gruppo e riversavano i loro voti su Pastore.

Oltre al calo evidente dei voti di Leone, al progredire di Fanfani e Pastore, un altro elemento nuovo veniva in luce ieri, e questa volta nel settore dei partiti alleati. Subito dopo la sesta votazione, si spargeva la notizia della esistenza di una lettera di Saragat, con la quale il leader socialdemocratico poneva a disposizione dei «tre» la sua candidatura, auspicando voti per il nome di un personaggio «sicuramente democratico, sicuramente antifascista e sinceramente aperto ai problemi del lavoro». La lettera di Saragat all’inizio veniva interpretata come un annuncio di ritiro. Il che creava un momento di seria incertezza negli alleati. Tornavano a riemergere candidature di altri «laici». Tornava a prospettarsi la tendenza a un «lancio» di Nenni. E si sosteneva che Saragat aveva dato la sua investitura a Pastore. Tali ipotesi venivano poi largamente ridimensionate, dagli stessi sostenitori di Saragat. Un portavoce socialdemocratico, al termine del settimo scrutinio, rilasciava una dichiarazione al proposito.

In essa si confermava la esistenza della lettera, nella quale Saragat informava i tre partiti che «di fronte alla situazione di stallo che si era creata essi potevano scegliere liberamente qualsiasi soluzione, prescindendo da preoccupazioni di carattere personale perché il problema è politico e non deve essere alterato da esigenze particolari». La dichiarazione terminava affermando che «i rappresentanti dei tre partiti hanno preso atto della nobiltà dei sentimenti espressi dall’on. Saragat e hanno deciso di sostenere la candidatura già scelta, cosa che è stata fatta nell’ultimo scrutinio, nel corso del quale l’on. Saragat ha aumentato i propri suffragi. I rappresentanti dei tre partiti, successivamente, si incontravano con Rumor, Gava e Zaccagnini, con i quali avevano un lungo abboccamento, nel corso del quale si discuteva a lungo sul problema delle candidature, alla luce della situazione venutasi a creare. La riunione a quattro interrotta più volte, riprendeva alle ore 23. Vi partecipavano per la DC Rumor, Piccoli, Gava e Zaccagnini, per il PSI De Martino, Brodolini, Ferri e Tolloy, per il PSDI Tanassi, Cariglia e Bertinelli e per il PRI La Malfa. Da alcune parti la candidatura di Saragat tornava ad essere riproposta, ma in termini diversi. Non più come candidatura «laica» e neppure come candidatura del «centro-sinistra». Ma come una candidatura generica da presentare non si sa esattamente a quale titolo e in nome di quale linea politica, ma tale, comunque, da poter ottenere l’appoggio del P.C.I. Accanto all’ipotesi del rilancio di «Saragat» in termini «nuovi» erano ventilate altre soluzioni; si è parlato di un repubblicano, si è parlato – ancora una volta – di Merzagora, nome che non ha mai cessato di circolare. E si è parlato anche del nome di Nenni, che la lettera di Saragat sembrava avere messo in movimento.

La riunione, terminata verso le una e trenta, si è conclusa in modo interlocutorio. Si è però appreso che, nel suo corso, il nome di Leone è stato dato per accantonato e che la DC non ha avanzato altri nomi. La questione di Saragat è stata portata con forza dai «laici». Cariglia ha dichiarato che la candidatura è stata proposta in modo da poter raccogliere suffragi dal PLI al PCI. Da parte dc si è replicato avanzando la controproposta di un democristiano idoneo a raccogliere voti, anch’ess,. in un arco che giunga fino al PCI.
In sostanza, quel che è emerso dalla giornata di ieri (svoltasi in un fitto intrecciarsi di incontri) è stato, da un lato, il tentativo di surrogare la primitiva candidatura «dorotea» e, dall’altro, una prima, seppur ancora incerta e contraddittoria presa di coscienza da parte della DC e dei tre partiti laici del centro-sinistra che ogni possibile soluzione deve essere contrattata anche con il PCI.

Si tratta, come si vede di un quadro complicato, dal decorso incerto e ricco di sfumature. Dal quale ricava, tuttavia, qualche dato certo: 1) La candidatura di Leone appare sostenuta ormai sì, ma insostenibile (si è parlato, come si detto, anche di un suo ritiro); 2: La candidatura di Saragat, indebolita come candidatura dei «tre», (Saragat in sesta votazione aveva cominciato a perdere, diminuendo di sette voti, riguadagnati solo in parte nella settima) potrebbe essere «rilanciata» ora sotto una coloritura ancora imprecisata, e nel contesto di una trattativa «a quattro» ma dalla quale appare impossibile escludere il PCI; 3) La candidatura di Fanfani continua ad essere il polo di attrazione massimo delle forze della sinistra democristiana, non avendo ancora dato segni di stanchezza e, al contrario, rafforzandosi ad ogni scrutinio; 4) La candidatura di Pastore s’è fatta luce, con forze ancora modeste ma che, anch’esse, dimostrano i risultati centrifughi ottenuti dalla prepotenza dorotea.
Si tratta di situazioni ormai oggettive, che impongono scelte precise e che non sembra possibile realizzare senza che tutti i gruppi interessati prendano consapevolezza del ruolo determinante svolto dal nostro Partito. Il quale continua a sostenere una linea di opposizione all’intrigo moro-doroteo e a chiedere soluzioni non ambigue e che rispecchino la realtà dell’arco di forze democratiche che in Parlamento è presente come riflesso di una situazione politica generale senza affrontare la quale ogni prospettiva concreta è destinata a indebolirsi e ristagnare.


pag. 1

Situazione movimento

LA GIORNATA di ieri ha messo in movimento la situazione più di quanto le cifre, o almeno alcune non sembrino indicare. Il primo elemento è dato dall’ulteriore battuta di arresto subita dalla candidatura Leone. L’arretramento da essa registrato nella sesta votazione, non è infatti compensato, dal punto di vista politico, dal confluire, sul suo nome, nella settima votazione, dei voti liberali i quali, accentuandone la coloritura politica moderata e orientata a destra, contribuiscono anzi ad accelerarne la definitiva liquidazione. Non siamo più nello stesso Parlamento e nella stessa situazione politica che poté consentire l’elezione di Segni con una maggioranza di centrodestra. Tale confluenza, oggi, può solo dare nuova legittimità, e dunque nuova forza, alla cosiddetta «dissidenza» d.c. che, fra voti attribuiti a Fanfani, voti attribuiti, specie nell’ultima votazione, a Pastore, schede bianche, tocca ormai quasi il 50 per cento di tutti i voti d.c.
Il secondo elemento nuovo è che, nonostante il voto di stima ancora ricevuto da Saragat, la sua candidatura potrebbe essere ritirata oggi, se ha un senso la lettera da lui inviata, prima ancora della votazione, ai tre partiti che l’avevano fin qui appoggiata. Il Voto da lui ricevuto, oltre che l’ultima manifestazione di stima. potrebbe essere anche un voto di attesa da parte del PSI, PSDI, PRI, ancora incerti sui futuri orientamenti da seguire e, a quanto si dice, non più, o almeno non ancora, concordi sulle prossime mosse.
Il terzo elemento nuovo è costituito dal permanere su posizioni di forza della candidatura Fanfani che, almeno fino a questo momento, e anche dopo la significativa «sortita» di Pastore, appare essere la più consistente indicazione dell’Assemblea verso una candidatura che può raccogliere una quota assai importante di voti d.c. e forze democratiche e di sinistra bastevoli, laddove convergessero unite su di essa, ad assicurare l’elezione del nuovo Capo dello Stato su una base corrispondente ai rapporti di forza ed agli orientamenti Parlamento. La convergenza dei voti liberali su Leone non può, del resto, che rafforzarla. È evidente infatti che il fallimento della candidatura Leone è dovuto al rifiuto dell’Assemblea di ritrattare un candidato che, non solo e non tanto le sue caratteristiche personali, ma per il colore politico moderato e conservatore che il gruppo dirigente d.c. aveva voluto imprimere alla sua indicazione, si presentava come un candidato di «minoranza», della minoranza dorotea, non solo all’interno DC ma in primo luogo dinanzi ad un Parlamento dove le forze schierate a sinistra della DC contano sul 48 per cento dei voti. Si dirà che questo è in contraddizione con le difficoltà incontrate dalla candidatura Saragat, ma ciò non è vero. La debolezza della candidatura Saragat è consistita, fin dall’inizio, nel fatto che essa non è stata presentata come una candidatura di tutta la sinistra non d.c. unita, capace di esercitare una attrazione sulle forze della sinistra, ma come una candidatura di alternativa «laica» all’interno dei partiti del centro sinistra E’ un errore di origine che non solo ha fatto urtare contro difficoltà gravi – non certo ragioni personali, ma ragioni squisitamente politiche – la candidatura di Saragat, ma potrebbe compromettere, a questo punto della vicenda elettorale, ogni ritorno ad una impostazione che la candidatura Saragat non ha avuto e non ha voluto avere, per ragioni non chiare e comunque inaccettabili.

SONO DUNQUE da respingere tutte le interessate interpretazioni della stampa conservatrice e reazionaria sullo stato di confusione che il seguito di scrutini nulli starebbe ad indicare. Al contrario, questo seguito di scrutini nulli ha servito almeno a portare un elemento di chiarezza che all’inizio è mancata, per la nuova prova di volontà discriminatoria e di prepotenza data dalla Democrazia cristiana. Oramai risulta ben chiaro che, in questo Parlamento e in questa situazione politica, non si può pensare alla elezione del Capo dello Stato senza il concorso e la collaborazione del nostro partito. Ancora una volta si dimostrata l’assurdità della discriminazione anticomunista. Ne costituisce tangibile prova il blocco compatto e massiccio di voti per il compagno Terracini, voti che, come tutti sanno, non rappresentano una nostra volontà di «splendido isolamento» nella nostra indiscutibile forza, ma rappresentano una proposta di soluzione unitaria contrapposta ad ogni soluzione moderata e ad ogni soluzione in cui si esprima unicamente una volontà di monopolio da parte di un gruppo della DC. Ed è oramai risultato anche ben chiaro che un minimo sforzo di volontà unitaria da parte di tutte le forze della sinistra laica e cattolica potrebbe rapidamente portare alla elezione del nuovo Presidente della Repubblica su una base politica che è a tutti comune: se è vero, come è vero, che obiettivo primario di un largo arco di forze democratiche non può essere oggi quello di portare avanti questa o quella persona, ma quello di eleggere un Capo dello Stato al di fuori di ogni discriminazione, sottratto alla ipoteca di un esclusivistico gruppo di potere, e in cui si esprima la comune volontà di contribuire a sbloccare la situazione politica generale dal vicolo cieco del moderatismo e del conservatorismo in cui anche il centro sinistra è stato cacciato. Perciò il nostro, se non un appello, rappresenta un invito alla riflessione da parte di tutte le forze democratiche e della sinistra laica e cattolica, la cui forza potenziale si è manifestata già con tanta evidenza nel Parlamento. Ed è un invito alla riflessione anche per gli organizzatori di riunioni «quadripartite» di centro-sinistra che non hanno senso poiché ogni qualsiasi soluzione che in esse dovesse essere elaborata può «passare» solo se la DC avesse la forza politica di riassorbire la «dissidenza» manifestatasi nel suo seno e solo se il nostro Partito vi acconsentisse. Ma perché dovrebbe acconsentirvi se esso non fosse chiamato ad elaborare insieme, e sullo stesso piano degli altri partiti, le soluzioni proposte e se non le giudicasse tali da essere accettabili non solo per noi comunisti ma anche per le altre forze di sinistra e cattoliche che hanno con noi contribuito a mandare all’aria i piani dorotei?

Mario Alicata


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Così si sono svolti il quinto il sesto e il settimo scrutinio
Clima sempre più teso nel Transatlantico
Furibondi i dorotei: i «dissidenti» troppo forti

Tempeste di ricatti sulle sinistre dc – Gli amici di Colombo attaccano la TV: fa vedere «troppo» le votazioni e così fa il «gioco dei comunisti» – Cicogna fa votare i liberali per Leone e i dc commentano: «A caval comprato non si guarda in bocca »

«Napoli sotto tutti»: con questa battuta i dissidenti dc che continuano a votare in numero crescente per Fanfani (e sono ormai un centinaio) rispondevano ieri alla iniziale battuta dorotea legata alla candidatura Leone («Napoli contro tutti »). Il massimo scherzo su Leone è stato fatto ieri dai dorotei con l’acquisto cinquantatré voti liberali a favore del candidato ufficiale dc. Il commento alla improvvisa decisione di Malagodi di rovesciare i suoi voti su Leone e alla serenità con la quale la DC aveva accettato quel significativo tributo politico era questo: «La DC. a caval comprato non guarda in bocca». Era abbastanza facile capire che dietro la battuta si nascondeva la «notizia» che il Presidente delta Confindustria Cicogna era intervenuto – con una telefonata breve e concisa – presso Malagodi per convincerlo a compiere il passo richiesto da Colombo. Comunque sia, malgrado i liberali, Leone ha continuato a andare indietro. Aveva78 voti all’ultimo scrutinio, ieri mattina. Aggiungendo i 53 voti andati, fino a quel momento, a Gaetano Martino dei liberali), Leone avrebbe dovuto avere 331 voti: ne ha avuti 313. Diciotto voti hanno «lasciato il Vesuvio» anche ieri come commentava un deputato socialdemocratico. Nel Transatlantico l’atmosfera è diventata tesa. Nessuno guarda più al vestito chiaro scuro o spezzato di chi gli sta intorno; dagli scherzi si è passati ad un tono preoccupato e allarmato per il protrarsi delle votazioni. Si finirà a Natale? La preoccupazione è quella di privati cittadini che sperano di riuscire a raggiungere le città di origine e le famiglie per le feste prossime, è anche a un fatto politico: proseguire indeterminatamente nelle rotazioni, protrarre il «braccio di ferro» voluto dai dorotei oltranzisti di Colombo (si sa che Rumor è stato, fin dall’inizio, più perplesso e possibilista) può provocare effetti negativi nell’opinione pubblica che segue con reale «suspense» alla TV, le fasi della battaglia.

L’attenzione e la cura con le quali la TV sta assolvendo, questa volta, al suo pubblico servizio, hanno già provocato le ire dei dorotei «colombiani». Ieri uno dei deputati oltranzisti (quelli che dicono: «Sarà una guerra dei cento anni, una crociata ma non molleremo») tuonava nel Transatlantico contro la Televisione rea di dare una versione «troppo vera» delle successive fasi dello scontro (e degli incontri) in corso a Montecitorio. «Che bisogno c’era – diceva il deputato doroteo – di fare di queste votazioni una delle trasmissioni di maggiore successo? Non è chiaro che se ne avvantaggiano i comunisti che continuano a votare compattamente per Terracini? Non chiaro che noi facciamo la parte di quelli divisi, incerti, dei veri responsabili di queste lunghe votazioni?».
Queste considerazioni non sono tenute in molto conto dagli stessi deputati dc che affollano numerosi, mentre Bucciarelli-Ducci legge i nomi sulle schede, la sala stampa di Montecitorio dove funziona un apparecchio TV. Preferiscono seguire – con la «suspense» che è stata creata – la successione dei voti alla TV che stare nell’aula che in quei momenti è sempre affollatissima.
I maggiori candidati si fanno vedere poco nel Transatlantico: coglierne uno è una rarità. Fanfani lascia l’ex ministro Bosco a trattare e raccogliere voci per suo conto; Saragat sta in disparte e si affida a La Malfa che invece è sempre presente; Leone ha dalla sua – ma non si sa quanto gli faccia piacere ormai, visti pessimi effetti – Colombo e Mazza che sono sempre sulla breccia; Pastore da ieri sembra scomparso, vota e se ne va. Da oggi il clima si farà assai più drammatico. Siamo ormai, chiaramente, alla stretta politica finale e di ora in ora l’atmosfera si farà più tesa. A rendere acceso il clima bastano del resto i ricatti che tempestano, ovunque, i sospetti di «dissidenza» – nella DC I dorotei di Colombo non badano ai mezzi: tutti i possibili strumenti di pressione sono stati adoperati. Proprio per ciò sono furibondi: perché i fanfaniani annunciano sempre in anticipo i voti che poi prendono veramente. Avevano detto che Fanfani avrebbe preso solo tre voti in più, sera: così come ieri mattina avevano pronosticato – mentre ancora Bucciarelli-Ducci faceva la «chiama» – che sette voti si sarebbero spostati da Saragat a Fanfani. Questo dimostra almeno una cosa: i voti che vanno a Fanfani non sono voti eterogenei di scontenti, ma voti organizzati. La dissidenza antidorotea, rafforzata dalla ostinata prepotenza del gruppo dl Colombo. è un fatto politico consistente e significativo.
Stasera- si dice nei corridoi – qualcosa di concreto si delineerà con maggiore precisione.


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Oggi alle 19 nuova votazione a Montecitorio
Così si sono svolti il quinto il sesto e il settimo scrutinio

Oggi, domenica, avverrà’ lo ottavo scrutinio per la elezione del futuro Presidente della Repubblica. La giornata di ieri si è svolta in un crescendo drammatico di notizie di tentativi di accordi, di trattative fallite nell’approfondirsi della frattura fra i vari gruppi interni della DC e fra la DC e i partiti della maggioranza di centro-sinistra.
Ieri sera, verso te 7 e un quarto, l’on. Rumor è stato fra gli ultimi a deporre la scheda nell’urna: è arrivato nell’aula quasi di corsa, seguito da Moro, che appariva più depresso e triste del solito. L’unico successo della giornata era stato, per il segretario della DC, l’aver ottenuto i 53 voti liberali per Leone: ben magro risultato, che non è servito nemmeno a riportare il candidato della DC alle posizioni del primo scrutinio, alle 319 schede, cioè, che aveva ottenuto mercoledì 16. Con l’apporto, infatti, dei voti di Gaetano Martino, l’on. Leone è arrivato soltanto a 313 voti, appena 35 di più di quelli che aveva ottenuto nello scrutinio antimeridiano. Il che significa che altri 18 dc., almeno, hanno abbandonato, tra il sesto e il settimo scrutinio. il candidato ufficiale del partito.
Oggi, come abbiamo già detto, alle ore 19 si riunirà di nuovo l’Assemblea chiamata ad eleggere il Presidente della Repubblica: lo ha annunciato alle 20 precise Bucciarelli Ducci con la formula di rito: «Non essendo stata raggiunta da alcun candidato la maggioranza assoluta dei voti dei componenti l’Assemblea, occorre procedere all’ottavo scrutinio che avrà luogo, con le stesse modalità dei precedenti, domani, domenica 20 dicembre, alle ore 19. La seduta i sospesa». L’emiciclo si è sfollato lentamente, mentre i parlamentari commentavano i risultati.

Lo scrutinio, iniziato alle ore 19.20, veniva seguito con estrema attenzione da tutta l’Assernblea. Bucciarelli Dicci leggeva le schede rapidamente, al ritmo di 20 al minuto Alle 19.35 un terzo delle schede circa è scrutinato: Leone ha 103 voti, 103 Terracini, 42 ne ha Fanfani, 47 Saragat, 18 Pastore. Il leader dei «sindacalisti» ha quindi già raggiunto i voti ottenuti nel corso del precedente scrutinio; Fanfani e Saragat mantengono le loro posizioni; nonostante l’apporto liberale. Leone non sembra in aumento. Una scheda porta il nome dell’on. Flaminio Piccoli vice segretario della DC e fedelissimo di Rumor: «Si ritiene nulla – commenta sorridendo il presidente Bucciarelli Ducci – perché l’on. Piccoli non ha ancora 50 anni».
Alle 19.55. Bucciarelli legge le ultime schede. Il cesto di vimini è già stato portato via dai commessi; il Segretario generale si è seduto al suo posto. Fanfani’ ha 127 voti (due di meno di quelli ottenuti la mattina): Saragat ne ha 136. Ma poi vengono tre schede di seguito per Fanfani; ancora una per Saragat: due per Terracini; una per Leone; una ancora per Pastore; una per Fanfani: una bianca; una ancora per Fanfani; una per Nenni; una per Saragat. Sul nome di Saragat – che Bucciarelli Ducci ha pronunciato ieri sera, di fronte all’Assemblea, per la 964 volta da mercoledì – si chiude il settimo scrutinio.

Nella stessa giornata di ieri, si era tenuto, !a mattina, il sesto scrutinio. Questa volta si procedeva con particolare rapidità e, dopo i primi dieci minuti, già si aveva sentore che qualche cosa tendesse a cambiare. Le schede scrutinate non superavano le duecento e l’impressione che i voti per Fanfani aumentassero era netta. Alle 12.10 Leone aveva totalizzato 97 voti, Fanfani 53, Saragat 46. Il crescendo di voti fanfaniani provocava un primo lungo commento nell’aula. Poi ecco cinque voti di seguito per Saragat che rialzano le azioni del ministro degli Esteri. Imprevedibile, a rompere la monotonia dei nomi ormai noti e scanditi da mercoledì nell’aulam viene il nome di Bucciarelli-Ducci. Si tratta di una scheda sola, per ora. Ma eccone subito una seconda e poi una tema. E’ una indicazione? Sembra di no, per ora.

Al banco della commissione, posto al centro dell’emi-ciclo, il ministro Pieraccini circondato da un gruppo di parlamentari socialisti e democristiani tiene, su un ampio foglio a quadretti, il conto dei voti di Fanfani e di Saragat. Pastore, che aveva avuto nello scrutinio di venerdì sera 13 voti, ottiene la quattordicesima scheda. Ed anche questo voto viene accolto da un commento che giunge come un indistinto brusio fino alla tribuna stampa. Alle 12.20 i due candidati che ormai sembrano contrapporsi, Fanfani e Saragat, hanno cento voti per uno. Poi esce una scheda per Gatto.
C’è un Gatto Simone, senatore, socialista, un Gatto Vincenzo, deputato, del PSIUP; e un Gatto Eugenio, sottosegretario dc. La scheda priva della indicazione del nome, sarà dichiarata nulla.
Alle 12,30 Fanfani ottiene la centoventiduesima scheda. Ogni voto in più è un voto guadagnato tra ieri sera e stamane Lo scrutinio termina, pochi minuti dopo, sui nomi di Saragat, Leone, Terracini. I risultati definitivi indicano che qualche cosa si è mossa nell’ambito dello schieramento di maggioranza: Leone è sceso di altri sedici voti, Fanfani ne ha guadagnati sette, Saragat ne ha persi sette, Pastore ne ha guadagnati cinque. le schede bianche sono aumentate di undici.
Nella serata di venerdì si era avuto il quinto scrutinio. La mattina era stata occupata dalle riunioni dei vari gruppi. Si era avuto un recupero di voti da parte di Fanfani, che era arrivato a 122. Leone aveva ottenuto 294 voti. Per la prima volta, nei corso dello scrutinio, era apparsa una scheda per Nenni. Un voto aveva ottenuto anche Carlo Levi. La votazione di venerdì sera aveva provocato, nell’aula e nel transatlantico, un diffuso senso di preoccupazione tra le file democristiane, e non poche critiche nei confronti del segretario del partito, che esponeva il candidato ufficiale della DC a un progressivo logoramento (i voti di Leone sono passati infatti dai 319 della prima votazione ai 294 della quinta fino ai 278 della sesta).