L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1964 – GIUSEPPE SARAGAT – VIII^ VOTAZIONE

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L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1964 – GIUSEPPE SARAGAT –  VIII^ VOTAZIONE

La elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana

L’UNITÀ

ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Quotidiano / sped. abb. postale / Lire 50                           * * Anno XLI / N. 50 (345) / lunedì 21 dicembre 1964

MARIO ALICATA Direttore
LUIGI PINTOR Condirettore
MASSIMO GHIARA Direttore responsabile

 

 


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L’ostinazione dorotea fa fallire anche l’ottava votazione
Leone cala, Fanfani si consolida
PSI, PSDI, PRI: sconcertante astensione

Oggi alle 11 la nona votazione – Lunghe e inutili riunioni dei 4 partiti del centro. sinistra – Nervosismo in aula – La positiva indicazione del costante voto comunista

Da cinque giorni l’Assemblea è riunita a Montecitorio per eleggere il Presidente della Repubblica. Ma anche la votazione di ieri sera, l’ottava, ha dato un risultato nullo. La seduta è stata perciò sospesa e rinviata a stamane alle 11 (ufficialmente si tratta intatti non di 5 sedute ma di una sola che iniziata mercoledì 16 viene interrotta dopo ogni scrutinio): sarà la 9^ votazione, che per Segni fu quella buona.

Il risultato di ieri dal punto di vista numerico non altera la consistenza dei candidati che sono rimasti in lizza: Leone ha preso un voto in meno di quelli di sabato sera; Terracini uno in più; Fanfani ha raggiunto di nuovo esattamente quota 132, Pastore è sceso di 6 voti, le schede bianche sono 22, 3 le disperse 9 i voti di Paolo Rossi.
Dietro i quasi impercettibili mutamenti numerici si è manifestato però ieri un fatto politico di notevole importanza: socialisti, socialdemocratici e repubblicani, che fino a sabato sera avevano votato per Saragat, si sono infatti astenuti. Nei voti di Fanfani quindi non possono più essere computabili le schede dei lombardiani che qualcuno aveva voluto attribuirgli. Contemporaneamente è apparsa una candidatura seppure ancora timida in favore di Paolo Rossi. Fino a sabato infatti le schede, esattamente due, che portavano il suo nome, venivano considerate niente altro che un atto di amicizia che veniva fatto al leader della destra socialdemocratica da un paio di deputati a lui fedelissimi. Ieri invece nessun socialdemocratico ha votato, e tuttavia i suoi voti sono addirittura aumentati. Nove schede non possono più rappresentare un atto di amicizia personale, sono probabilmente invece una indicazione che qualche gruppo (forse liberali?) intendono offrire alla Assemblea.
Lo scrutinio è incominciato alle 20.42 e terminato esattamente 25 minuti dopo sul nome di Fanfani. Era la sua 132^ scheda.

Oggi alle 11 si riapriranno le votazioni. Non è presumibile che si ripeta nel corso di questa l’astensione dei socialisti, socialdemocratici e repubblicani. Ci sono 14 ore di tempo per trovare una via di uscita. Allo stato attuale delle cose però la confusione pare giunta al massimo così come al massimo è giunto il malcontento e il disagio nelle file non solo della DC ma anche dei partiti laici. La astensione di ieri, del mentre è un indice di questo disagio, ancora lo aggrava.
Il fatto nuovo, e che non è esagerato definire clamoroso, si era verificato poco prima dell’inizio della votazione.
Nel corso della mattinata si erano tenute riunioni dei vari gruppi, e, fin dalle cinque pomeridiane erano riuniti i leader dei quattro partiti della maggioranza di centro sinistra. Si sapeva quindi, a Montecitorio, che qualche decisione avrebbe dovuto se non maturare in serata, essere tuttavia preparata nel corso della votazione. Ma solo qualche istante prima che le votazioni avessero inizio si è sparsa la voce che socialisti, social democratici e repubblicani – che fino a ieri avevano votato per Saragat – si sarebbero astenuti.

Il senso della decisione presa dai «big» dei quattro partiti è evidente: essa voleva impedire che i voti del fronte laico si riversassero, nel corso di questa votazione, su Fanfani o eventualmente anche su Pastore, candidati della opposizione interna dc. Ma la decisione viola senza alcun dubbio e la libertà e soprattutto la segretezza del voto, e impedisce praticamente ai parlamentari di esprimere la loro volontà. Quando, pochi istanti dopo le 19, l’on. Bucciarelli Ducci dava inizio alla votazione e il segretario, on. Fabbri, cominciava la «chiama», l’attenzione ed anche il nervosismo nell’aula andavano accentuandosi. Il primo senatore socialista chiamato a votare è Alberti. Egli percorre lo stretto corridoio tra il banco del governo i quello della Presidenza, ha un attimo di incertezza e quindi rivolgendosi al presidente dice a bassa voce:« Mi astengo». lo segue Angrisani del PSDI. Stessa scena. Poi è la volta del socialista Arnaudi. E così via. Dalla tribuna stampa si commenta in modo particolare il passaggio dei leader socialisti: Lombardi passa curvo come di consueto, in fretta. Giolitti è più incupito del solito, Pertini tiene la testa bassa, il mento sul petto con aria testarda. C’è un’aria di umiliazione che rende l’assemblea irrequieta: un gruppo di parlamentari vicino alla grande porta che da sinistra immette nell’emiciclo discute con tanta vivacità che giungono fino alla tribuna stampa le voci di Pajetta e di Mauro Ferri. Tra gli altri si distinguono De Martino e Lajolo. Dall’altra parte dell’emiciclo sono Rumor, Orlandi e Gui che, mettendo ognuno il braccio sulle spalle dell’altro, si scambiano qualche opinione sull’andamento del voto e le possibili previsioni. Nell’aula si fanno molti commenti, e ad alta voce, quando Parri passando davanti al Presidente, invece di dichiarare la sua astensione, infila la scheda nell’urna.

Un richiamo del presidente innervosito dal costante brusio che si leva dall’aula e che rende, egli afferma, sempre più difficile il lavoro dei segretari, si dimostra vano. Verso la fine della votazione il compagno Adamoli insorge, con forza, contro il tentativo, resosi ormai manifesto, di Roberti di controllare i voti dei missini. Il presidente del gruppo del MSI infatti era in piedi, vicino al banco del governo e un deputato, l’on. Santamaria, gli ha mostrato aperta, la sua scheda. il presidente riesce a portare un po’ di calma nell’assemblea che, però, appare sempre più tesa.


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Quinta giornata

LO STATO di movimento in cui era entrata sabato la situazione, si è accentuato nella giornata di ieri. Il fallimento della candidatura Leone, anche se ancora non ufficiale, e l’oggetto di aperti ed aspri dibattiti all’interno dello stesso gruppo doroteo, ormai è alla ricerca disperata di un altro nome. secondo il nostro giudizio, ieri, anche la candidatura Saragat e stata, almeno per il momento, ritirata. L’astensione del PSI, del PSDI e del PRI nel voto di ieri, ne sanziona il ritiro, sia pure temporaneo, come taluno dice, anche se questa estensione – accolta con vivaci commenti in tutti gli ambienti politici e parlamentari – è anche il segno di qualche cosa che va oltre l’incertezza e la confusione profonde esistenti nelle file di questi tre partiti. Non c’è dubbio che la decisione di estensione significa infatti in primo luogo la volontà di controllare il voto di tutti i parlamentari facenti capo ai tre gruppi «laici», allo scopo evidente di impedire fughe verso Fanfani o verso Pastore. la procedura, che si presenta carica di interrogativi, anche dal punto di vista del regolamento dell’assemblea, se ha potuto togliere qualche voto a Fanfani, non ha fatto che sottolineare l’attrazione che questa candidatura esercita già anche nelle file del PSI. D’altro canto per le procedure non ha impedito a Fanfani di mantenere intatto il suo blocco di voti, guadagnando evidentemente ancora all’interno della DC.

IN QUESTA situazione, gli unici punti fermi di riferimento continuano ad essere rappresentati dal persistere della opposizione democristiana anti-dorotea, che il passare del tempo non indebolisce ma rinforza, e dal blocco dei voti comunisti, sempre compatti intorno al nome di Terracini, che il passar del tempo valorizza sempre di più nel significato oggettivo che esso ha di proposta di una soluzione unitaria appoggiata a un largo arco di forze democratiche di sinistra laiche e cattoliche, come unica soluzione possibile. A nessuno è dunque lecito ignorare che da questi punti fermi occorre partire se alla crisi manifestatasi nell’assemblea elettorale si vuole dare uno sbocco positivo. Occorre però che lo sforzo unitario da parte di tutti sia accelerato. specie da parte dei partiti del cosiddetto blocco laico, che come tale non ha resistito, ma i cui componenti hanno un ruolo determinante, come quello dei comunisti e quello della opposizione democristiana anti-dorotea, ruolo che non può essere però regolato con manovre meschine e imbarazzate come è stata la manovra dell’astensione nella votazione di ieri.

SAREBBE infatti imperdonabile se per indugiare su ostinate reciproche preclusioni (e questo vale anche per i rapporti fra i due settori – fanfaniano e pastoriano – dell’opposizione democristiana) i protei potessero trovare lo spazio per manovre e intrighi in extremis, Poggianti magari sull’agitazione dell’impossibilità di ritardare più oltre l’elezione del Presidente della Repubblica. Queste dei dorotei sarebbero tuttavia lacrime di coccodrillo e come tali andrebbero giudicate, si cominciassero ad essere sparse, dato che su di loro, i sulla loro site esclusivistica di potere, ricade la responsabilità della situazione che si è creata. Certo, da questa situazione occorre uscire, ma non per la porta di comodo che i dorotei vorrebbero imboccare con candidature di ricambio inaccettabili come quella di Leone.

m.a.


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Rifiutando ogni ragionevole accordo democratico
La fazione dorotea blocca il Parlamento

Colombo respinge tutte le richieste degli alleati e delle minoranze democristiane – Pressioni e intimidazioni contro gli oppositori che non mollano – La candidatura Saragat mette in crisi il «fronte laico»

La intransigenza dorotea e la divisione fra gli alleati che, ieri notte, sono giunti fra loro a una situazione di semi-rottura sul problema della candidatura di Saragat, hanno dominato la giornata domenicale, una delle più tormentate dall’inizio della crisi presidenziale.
Vedremo di seguito, nei dettagli, i termini in cui si è manifestata la massiccia pressione dorotea e la confusione e l’urto fra il PSI e il PSDI che, se oggi la situazione non cambierà, si presenteranno ciascuno con un candidata diverso. Esaminando innanzitutto, i dati della ottava votazione, già si avverte la loro eloquenza nel dimostrare il grado di frizione e confusione in cui la fazione degli «arrabbiati» di Colombo e Piccoli ha gettato la DC e la maggioranza, bloccando ancora per un giorno il Parlamento.

Ancora ieri Leone (fatto votare al gruppo dc) ha riscosso solo poco più della metà dei voti del gruppo dc. Egli infatti ha ricevuto 312 voti, uno in meno della votazione precedente. Se si sottraggono a questi voti i 53 suffragi regalati al candidato doroteo dal PLI, si ottiene la cifra di 269: tanti risultano i parlamentari democristiani (che sono 393) che ubbidiscono ancora agli ordini di scuderia.
Contro la candidatura obbligata di Leone, sempre più screditata, sta invece, ferma e solida malgrado le intimidazioni, i ricatti, le pressioni e i «controlli» la posizione di Fanfani. Ieri Fanfani ha avuto l’esatto numero di voti (132) riscossi nella votazione precedente. Ciò ha dimostrato che i possibili voti socialisti per Fanfani delle votazioni precedenti, (per «controllare» i quali Saragat aveva chiesto e ottenuto la «astensione» dei tre partiti laici) sono stati rimpiazzati da altrettanti voti democristiani, recuperati tra i sostenitori di Pastore (scesi da 40 a 34) o tra le schede bianche (scese da 26 a 22).
Oltre al calo di Pastore, la della votazione di ieri sera è stata data dalla astensione dei partiti «laici» . PSI, PRI, PSDI, imposta da Saragat – come vedremo dopo —allo scopo evidente, di esercitare un controllo sulle «fughe» dal suo nome in direzione di Fanfani o in altre direzioni. Il controllo, che è oggettivamente una lesione della segretezza del voto, ha dato come risultato la prova che la candidatura di Saragat non ha riscosso mai la unanimità dei voti nei tre gruppi che lo sostengono. Gli astenuti di ieri. infatti, sono stati 148. E Saragat ha riscosso nei giorni scorsi da un massimo di 140 a un minimo di 133 voti. Il che vuol dire che da 8 a 15 parlamentari dei suoi gruppi non hanno votato nelle tornate precedenti.

ln conclusione, anche la ottava votazione ha registrato un nulla di fatto. Una dimostrazione in più, tuttavia, della urgenza di spezzare la ostinazione dorotea, che blocca ogni possibile soluzione democratica della crisi presidenziale.
La durezza delle posizioni dc era esplosa fin dalla riunione notturna «a quattro» conclusasi burrascosamente alle una e trenta del mattino di domenica. All’uscita da questa riunione – che era stata convocata dopo che le candidature di Leone e di Saragat erano fortemente pregiudicate.- «laici» non avevano nascosto il loro disagio per essere stati costretti parte ascoltare i «comizi» di Piccoli sul «diritto» della DC di avere un proprio candidato.
Nel corso dell’incontro a quattro la proposta di rilanciare Saragat non più come candidato dei «tre» ma come rappresentante di tutto un arco parlamentare che andasse dalla DC al PCI, era stata scartata dai democristiani. Piccoli investiva i «tre» – alcuni dei quali avevano avanzato altre ipotesi di candidature «laiche» e DC – con un profluvio di smargiassate sul dovere degli italiani di accettare un candidato democristiano e, per di più, voluto dai dorotei.
L’intervento di Piccoli veniva, in certo modo, «mediato» da Rumor. Il segretario d.c. avanzava altre proposte nelle quali sembrava di cogliere la consapevolezza della esigenza di presentarsi con un candidato accettabile anche dall’ala sinistra del Parlamento.

L’impressione di una nuova consapevolezza d.c. sulla impossibilità reale di ignorare il rapporto di esistente in Parlamento, veniva però fugata nella mattinata da Colombo, balzato ieri in primo piano nella trattativa. Riunito lo stato maggiore «doroteo» nella sede di piazza Zanardelli, Colombo si scatenava in un virulento attacco contro Fanfani, dichiarando l’ostilità assoluta sua e dei suoi amici ad un’azione di «recupero» nei suoi confronti. Sparando a zero contro le «dissidenze» Colombo incaricava poi alcuni deputati e senatori d.c. (che si definiscono «non impegnati» di rivolgere un appello agli «indisciplinati». Cosa che veniva puntualmente eseguita nel pomeriggio, con un documento para-doroteo diffuso ad opera di alcuni parlamentari «indipendenti» (Alessandrini, Pafundi e altri) assunti per l’occasione in servizio effettivo da Emilio Colombo. Altri deputati venivano incaricati di premere sull’Osservatore Romano, con una lettera al suo direttore Raimondo Manzini, perché intervenisse per far cessare lo «sconcio» dell’opposizione della sinistra dc agli ordini dorotei. Altre pressioni epistolari e pubbliche, venivano rivolte ai parlamentari dc, bombardati da pressioni di vario genere alle quali si univa, in modo definito «inopportuno» da larghi ambienti politici cattolici, anche il giornale della Curia milanese, «L’Italia». Nel corso della riunione dorotea si affermava poi che, al posto di Leone – dato ormai per «bruciato» – doveva andare un’altra figura di rilievo della destra politico-economica. E si facevano. ancora una volta. i nomi di Piccioni e Merzagora. Tra gli «indipendenti» possibili da sostenere, i dorotei facevano circolare i nomi di Ambrosini (Presidente della Corte Costituzionale), Carbone (Presidente della Corte dei Conti) e del dr. Carli, Governatore della Banca d’Italia. La conclusione cui arrivavano i dorotei era, in sostanza, di continuare a fare votare per Leone, in attesa che maturassero altre combinazioni, dalle quali dovevano però essere esclusi i nomi di Fanfani e di Pastore. Contro il nome di quest’ultimo i dorotei adoperavano anche l’argomento. piuttosto ignobile di un difetto di «stile» dovuto alle sue origini operaie.

Nel pomeriggio, prima della ottava votazione, i democristiani convocavano poi a piazza del Gesù, una riunione di tutto lo stato maggiore delle correnti. All’incontro venivano invitati, e partecipavano, oltre a Rumor Gava e Zaccagnini gli onorevoli Colombo, Piccioni, Fanfani, Pastore, Scelba e Moro. Anche in questa sede la discussione era animata, ma le posizioni di fondo dei contrasti non si smussavano, Infatti. poco dopo, nel corso della ottava votazione, le posizioni apparivano distanti, come nei giorni precedenti.
Anche nel settore dei «laici» la giornata di ieri è stata agitata e difficile. La sterilità di prospettiva della candidatura di Saragat veniva rimarcata nel PSI in seno alla Direzione. dove – dopo un passo negativo presso Saragat per una sua rinuncia a favore di Nenni – si decideva l’astensione nell’ottava votazione. La astensione socialista avrebbe dovuto avere secondo De Martino e i «lombardiani» il senso di una critica alla candidatura Saragat cosi come era stata concepita, chiusa ad ogni reale apertura sulla sinistra. La decisione di astensione della Direzione del PSI, andata in discussione al gruppo, veniva mantenuta: ma, con sorpresa di gran parte dei presenti, se ne mutava (per iniziativa della destra) la motivazione. L’on. Ferri, infatti, proponeva – e faceva votare – un comunicato congiunto, PSI, PSDI, PRI, nel quale l’astensione veniva annunciata come protesta contro «l’incertezza di atteggiamenti di altri gruppi politici» che non avevano fatta propria l’indicazione del nome di Saragat «valida e coerente soluzione democratica del problema della Presidenza della Repubblica». I «lombardiani» votavano contro questa motivazione che, in sostanza, confermava una posizione rivelatasi sterile e si presentava come un «controllo» voluto da Saragat, sulle eventuali «fughe» di voti dei «laici» in altre direzioni.
Nella nottata, però, la situazione tra PSI e PSDI si imbrogliava, sfiorando i limiti della rottura. La primitiva richiesta socialista a Saragat di rinunciare a favore di Nenni o Pastore, veniva respinta bruscamente dai socialdemocratici. I quali, nella stessa serata, con evidente spirito dl rivalsa contro le «colpevoli» esitazioni dei socialisti i quali avevano «osato» mettere in dubbio la efficacia di continuare a puntare su Saragat, annunciavano drammaticamente che essi, oggi, avrebbero dato alle stampe il testo integrale della lettera del loro leader, dalla quale, (essi dicono) si ricavano le vere responsabilità della attuale «situazione di stallo». I socialdemocratici, inoltre. facevano sapere che, oggi, non avrebbero continuato ad astenersi ma avrebbero votato «per un candidato socialdemocratico», rifiutandosi però di precisare quale. Alcuni di essi, tuttavia, lasciavano intendere di avere in mente il nome del leader della «destra» PSDI, l’on. Paolo Rossi, che nella votazione di ieri aveva ricevuto 9 voti, probabilmente scelbiani.

ln queste condizioni si apriva alle ore 10 la riunione della direzione del PSI, che alle ore 2 di notte era ancora in corso. Si è trattato di una riunione agitata, nel corso della quale molti hanno accusato la segreteria di avere «imbottigliato» il PSI con la sterile candidatura di Saragat, tagliando i ponti con la «sinistra» della DC e, quindi, scegliendo una via politica che svuota di contenuto il preteso «colloquio» con i cattolici. Altri hanno fortemente reclamato un’iniziativa autonoma del PSI e un pronunciamento sul nome di Nenni, dando per scontato il fallimento di una candidatura «laica» non concordata politicamente con il PCI, il PSIUP e con le forze della sinistra cattolica. Altri ancora hanno proposto di dare battaglia a fondo contro i dorotei, appoggiando in forze la candidatura di Fanfani o di Pastore. Vi sono state poi voci che, raccogliendo suggerimenti di fonte democristiana, hanno avanzato nomi di «indipendenti» e, fra questi, quello del giudice costituzionale Mortati.