L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1962 -ANTONIO SEGNI – PROLOGO

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L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1962 -ANTONIO SEGNI – PROLOGO

L’elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana su

l’Unità

ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Quotidiano / sped. abb. postale / Lire 40                           * * Anno XXXIX / N. 120 / martedì 1 maggio 1962

MARIO ALICATA Direttore
LUIGI PINTOR Condirettore
TADDEO CONCA Direttore responsabile

 

 

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Per un solo voto SEGNI candidato dc per il Quirinale

Ma la battaglia è ancora aperta

Ieri mattina senatori, deputati e delegati regionali della DC hanno proceduto alla designazione del loro candidato ufficiale. votando a scrutinio segreto nella sede del gruppo dei deputati a Montecitorio. Alla prima votazione Segni ha raggiunto la maggioranza assoluta. Il parlamentare sardo ha superato il quorum prescritto ed è stato proclamato candidato della DC al termine dello scrutinio.

Il numero dei voti è rimasto segreto in un primo tempo. I dorotei ln serata. hanno fatto circolare la notizia che a Segni sarebbero andati 212 voti,33 voti in più del necessario (Il quorum di 179 è la metà più uno dei parlamentari e dei rappresentanti regionali dc — 356 — che hanno partecipato alla votazione segreta interna). 106 voti sarebbero stati i voti per Piccioni e 30 per Gronchi. Dopo le votazioni Zaccagnini e Gava hanno inviato una lettera circolare ai deputati e senatori dc per impegnarli al rigoroso rispetto della decisione adottata dal gruppi nella scelta del candidato al Quirinale.

La designazione democristiana, tuttavia, ha solo un carattere genericamente indicativo, ma, come è del resto avvenuto sempre nel passato, non è affatto detto che la scelta dei parlamentari dc corrisponderà al risultato effettivo che si avrà nelle sedute comuni delle Camere. Ogni previsione in questo momento è anzi difficile e pressoché possibile.

Oltre a Segni, sul quale punta lo schieramento doroteo e almeno una parte della destra dc e non dc, vi è notoriamente la candidatura socialdemocratica dell’on. Saragat, per il quale sono pronunciati ieri ufficialmente i deputati repubblicani e a favore del quale la maggioranza socialista ha detto dl voler votare, almeno nel secondo e nel terzo scrutinio È opinione diffusa degli osservatori politici. anche alla luce di alcune indiscrezioni sull’ultima riunione della direzione socialista, che a questi nomi debba essere aggiunto quello del sen. Piccioni. presidente del Consiglio nazionale della DC. Sul nome di Piccioni vi sarebbe una intesa tra Moro e Nenni, nel caso che dopo tre prime votazione (a maggioranza di due terzi) e forse dopo la prima votazione a maggioranza assoluta (la quarta) nessun candidato abbia ottenuto voti necessari.

Il nome che è tornato a circolare con maggiore insistenza negli ultimi giorni è quello del presidente del Consiglio on. Fanfani. Gli amici di Fanfani hanno assicurato che il presidente del Consiglio non ha mai posto ufficiosamente la propria candidatura alla Presidenza delta Repubblica, ma è ben noto, in alcuni circoli politici, il proposito di Fanfani di puntare alla carica di Capo dello Stato, anche se questo proposito ha incontrato la dichiarata ostilità del PSI, di una parte delle sinistre dc, del PRI e del PSDI.

Secondo fonti fanfaniane, parlamentari vicini al presidente del Consiglio sarebbero stati pregati dallo stesso Fanfani di non indicare il suo nome nelle votazioni interne svoltesi ieri a Montecitorio. Ma ciò non esclude, anzi rafforza l’ipotesi della candidatura Fanfani. Con questo invito, Fanfani intenderebbe «contare» i nomi dei parlamentari dc che lo gradirebbero al Quirinale, escludendo di proposito quelli «sicuri» della sua corrente.

Altra ipotesi, sembra la più probabile, è che Fanfani intenda presentarsi non come «candidato di partito», ma come uomo che si presenta alla vigilia delle votazioni al dl fuori delle designazioni di gruppo e di partito, ma si ritiene disponibile come uomo al di sopra dei gruppi, se non del suo proprio indirizzo politico.

La Camera ha tenuto ieri una breve seduta procedendo alla proclamazione a deputato dell’on. Mastino (DC) e del. l’on. Di Mauro (PCI). rispettivamente in sostituzione degli scomparsi onorevoli Maxia e Faletra. Si avrà quindi domani il dei «grandi elettori».

Il calendario non ufficiale prevede che nella seduta di domani si svolgeranno i primi tre scrutini che richiedono la maggioranza di due terzi. Se questi andranno e vuoto, come è nelle generali previsioni, vi sarà nuova seduta nel pomeriggio di dopodomani 3 maggio. E’ probabile che in questa seconda seduta si proceda a una prima e, se sarà necessario, a una seconda votazione. Nel caso che neppure al quinto scrutinio nessun candidato abbia raggiunto la maggioranza assoluta, il 4 maggio si svolgeranno nuove votazioni «ad oltranza». Questo cè11 calendario che di comune intesa avrebbero fissato i due presidenti delle Camere, Leone e Merzagora, nella giornata di ieri. La «mezza giornata bianca» prevista nella mattinata del 3 maggio (cioè a cavallo tra la prima e la seconda seduta) dovrebbe servire, come si intuisce, alla ricerca della necessaria maggioranza intorno a uno dei candidati.

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Si elegge il Capo dello Stato

Domani alle ore 10,30 precise, nell’aula di Montecitorio avranno inizio le operazioni di voto per l‘elezione del Presidente della Repubblica. A fianco dell’on. Leone siederà su una identica poltrona l’ on. Merzagora, presidente del Senato. All’ingresso del palazzo e dell’aula presteranno servizio i valletti in alta uniforme (velluto scuro bordato d’oro, calzoni al ginocchio e polpe bianche).

Non essendo sufficienti i banchi per tutti i «grandi elettori» verranno aggiunte un centinaio circa di poltroncine. Ciononostante una gran parte dei parlamentari sarà costretta a restare in piedi. L’ elezione avverrà per appello nominale e per ordine alfabetico: prima saranno chiamati i senatori, poi i delegati regionali; ultimi i deputati. in quanto ospiti.

Ad ognuno dei presenti verrà consegnata, all’ingresso dell’aula, una scheda bianca, sulla quale va scritto il nome del candidato prescelto. I votanti sono 854, pochissimi senza dubbio saranno gli assenti. La maggioranza dei due terzi (il cosiddetto «quorum» qualificato) necessaria per i primi tre scrutini ammonta quindi a 569. Dopo i primi tre scrutini è sufficiente la maggioranza assoluta, pari a 427 voti. E’ molto probabile che, non raggiungendosi la maggioranza qualificata nella seduta antimeridiana, la seduta venga riconvocata per il pomeriggio.

Nel 1955, nel corso della stessa giornata venne tenuta per tre volte seduta: la mattina, nel pomeriggio e in serata. E’ comune opinione però che per arrivare all’elezione sarà necessaria almeno una seconda giornata di votazioni.

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Così sono stati eletti i primi tre presidenti

GIUGNO 1946, DI NICOLA: Il primo Capo della Repubblica scelto fra tre eminenti personaggi di sentimenti monarchici

MAGGIO 1948, EINAUDI: l’economista della restaurazione capitalistica batte Sforza che era il beniamino di De Gasperi

MAGGIO, 1955 GRONCHI: l’oppositore interno al «centrismo» eletto a dispetto della segreteria d.c. e del governo Scelba

Il primo capo dello Stato italiano eletto dal Parlamento, fu Enrico De Nicola. La sua elezione, come Capo provvisorio, avvenne il 28 giugno 1946. L’atmosfera era ancora quella arroventata della grande battaglia per la Repubblica conclusosi con la fuga da Roma di Umberto, il «re di Maggio» e con l’insediamento, il 25 Giugno, della Costituente. L’elezione di De Nicola fu un atto solenne che sancì davanti all’opinione pubblica l’avvenuto mutamento nella struttura costituzionale del Paese.

Per la prima volta infatti il Capo dello Stato italiano era scelto da assemblea rappresentativa, e non imposto dalla successione dinastica. Segno dei tempi incerti tuttavia e soprattutto dello spirito di compromesso che animava la DC («agnostica » nel corso della battaglia per la Repubblica) fu la singolare circostanza che tutti e tre i candidati alla massima carica della Repubblica erano di sentimenti monarchici. Oltre De Nicola, la rosa di nomi esaminati dai partiti. comprendeva infatti quelli di Benedetto Croce e di Vittorio Emanuele Orlando. Enrico De Nicola esitò molto prima di accettare la suprema carica. Rinchiusosi nella sua casa di Torre Greco, fino all’ultimo cercò di esimersi dall’ incarico. Ma infine l’accordo dei partiti si realizzò sul suo nome dato che le sinistre nonostante il suo orientamento monarchico erano favorevoli alla sua elezione per le garanzie di assoluto lealismo costituzionale che egli dava. Contro Croce vi fu un «veto» cattolico.

De Nicola, dunque, fu eletto Capo Provvisorio dello Stato dalla Costituente presieduta da Saragat con 396 voti su 504. Ma, in ossequio al carattere provvisorio della sua carica, egli non volle abitare nel Quirinale, e scelse la meno aulica residenza di Palazzo Giustiniani. Al Quirinale si trasferì solo il 18 Gennaio 1948, quando assunse il titolo di Presidente della Repubblica, all’indomani della firma della Costituzione il cui atto di nascita reca il suo nome, insieme a quello di De Gasperi e Terracini.

Molto più tormentata fu invece la elezione di Luigi Einaudi, secondo Presidente della Repubblica, avvenuta l’undici maggio 1948, a un anno dalla «svolta» reazionaria con cui De Gasperi nel maggio 1947 aveva rotto l’unità democratica e antifascista chi si manteneva del tempo dei governi espressi dai Comitati di Liberazione. Einaudi, che aveva avallato pienamente la «scelta» di De Gasperi Accettando la vicepresidenza del Consiglio, non fu tuttavia il primo prescelto da De Gasperi, che fino all’ultimo sostenne la ancor più «fidata » candidatura Sforza. Ma neppure nel Parlamento del 18 aprile, nel quale la DC contava la maggioranza assoluta, l’operazione riuscì. musei. E Luigi Einaudi, che in una prima votazione aveva riscosso 20 voti, contro 396 di De Nicola e 353 di Sforza e che in una seconda votazione perse addirittura quattro voti scendendo a 16, in terza votazione passò in testa. Sforza infatti, abbandonato dalla DC, crollò di colpo a 9 voti, mentre Einaudi, che era partito da «outsider» con i soli voti liberali, passò di colpo a 462 voti.

Vista l’opposizione di una larga parte del suo partito e di tutte le sinistre, De Gasperi aveva abbandonato il nome di Sforza, puntando su Einaudi, attorno al quale si schierarono anche i voti della destra. Contro Einaudi resse soltanto Orlando, che nella quarta votazione (a maggiorana semplice) riscosse 320 roti, contro i 518 di Einaudi. Dopo aver rotato per De Nicola e contro Sforza le sinistre votarono per Orlando, il quale aveva espresso nel ’47 ampie riserve sulla «svolta» di De Gasperi e, soprattutto, sulla sua subordinazione alle direttive della politica americana.

La elezione di Gronchi (29 Maggio 1955) avvenne invece sotto il segno della crisi più profonda della DC, dette luogo a clamorosi scontri fra e «correnti » e fornì la prova del peso delle sinistre del nuovo Parlamento, uscito dal voto del 7 giugno contro la legge—truffa e noti più dominato dalla palude DC. La battaglia di Fanfani e Scelba (allora rispettivamente segretario della DC e presidente Consiglio) per rieleggere Einaudi, o comunque far eleggere Merzagora, trovò subito la DC schierata sulle posizioni più diverse. Lo scontro divenne convulso quando, dopo una dichiarazione di Scelba su Einaudi candidato del governo, la corrente «Concentrazione » lo attaccò.

Giorno e notte venne discussa una rosa di candidati (vennero fuori i nomi di Zanotti — Bianco, Zoli. Merzagora, Segni). Ma la corrente di «Concentrazione» avanzò il nome di Gronchi, rifiutato bruscamente da Scelba, dalla destra, dai «minori» e da Fanfani. ln un estremo sforzo per impedire la elezione del più qualificato oppositore interno al «centrismo», apertamente sostenuto dalle sinistre, Fanfani e Scelba riuscirono, sul piano della disciplina, a far accettare al gruppo il nome di Merzagora. Cominciò così la contromanovra tendente a spingere avanti Merzagora per poi sostituirlo con il candidato iniziale, Einaudi.

Il primo scrutinio vide Parri (candidato ufficiale delle sinistre) in testa, con 308 voti. Merzagora (candidato del governo) ne ebbe 288, Einaudi 120. Gronchi, nella prima votazione ne riscosse soltanto 30.

Si verificava quindi lo stesso processo di sette anni prima, che doveva portare alla vittoria un candidato che in prima in votazione era arrivato ultimo. La ascesa di Gronchi fu lenta ma sicura. ln seconda votazione sale a 127 voti (Merzagora 225, Einaudi 89). ln terza rotazione, continuando i d.c. a non obbedire ai capi, Gronghi passa in testa, con 281 voti, contro i 245 di Merzagora e i 61 di Einaudi.

A questo punto per timore che Gronchi, al quarto scrutinio, possa essere eletto anche senza tutti i voti della D.C., Fanfani e Scelba devono cedere, e accettano la nomina di Gronchi a candidato ufficiate della DC. Il pomeriggio del 29 è to stesso Gronchi, Presidente della Camera, a leggere i nomi dei candidati votati. Arrivato a pronunciare il proprio nome per la quattrocentodiciassettesima volta, (superando così di uno il numero necessario per la elezione) egli si leva dal suo scanno di Presidente della Camera e lascia l’aula, fra gli applausi di tutti i deputati e senatori in piedi. Gronchi a quel punto è già Presidente della Repubblica. Tocca a Merzagora leggere ancora il nome del suo antagonista. per altre 241 volte. fino ad arrivare alla votazione-record di 658 voti su 833, la più alta raggiunta in Parlamento.

L’atto finale della elezione di Gronchi è una beffa, giuocata da un parlamentare comunista a Scelba. Il presidente.’ del Consiglio si vede arrivare sul cavolo un bicchiere colmo di un noto digestivo contro il mal di fegato. Scelba seccamente lo rifiuta, si alza e se ne va.

m.f.