L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1964 – GIUSEPPE SARAGAT – XV^, XVI^, XVII^ E XVIII^ VOTAZIONE

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L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1964 – GIUSEPPE SARAGAT – XV^, XVI^, XVII^ E XVIII^ VOTAZIONE

La elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana

L’UNITÀ

ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Quotidiano / sped. abb. postale / Lire 50                           * * Anno XLI / N. 349 / domenica 27 dicembre 1964

MARIO ALICATA Direttore
LUIGI PINTOR Condirettore
MASSIMO GHIARA Direttore responsabile

 

 


pag. 1 e ultima

DOPO LA BRUCIANTE SCONFITTA DEL PRIMO CANDIDATO UFFICIALE DELLA DC LEONE
La sinistra unita porta Nenni in testa
Saragat bloccato dall’ipoteca dorotea. Nella 18a votazione, circa 150 d.c. votano bianco o disperdono i loro suffragi —
Si aggrava la frattura nella D.C.: ritirato Leone, Donat Cartin e De Mita sospesi dal partito, si danno per certe le dimissioni dal governo di Pastore

Alle 21 di ieri sera il presidente Bucciarelli Ducci ha letto i risultati della diciottesima votazione per l’elezione del Capo dello Stato, svoltasi a partire dalle 19 di ieri sera dopo che le due votazioni di giovedì mattina e di venerdì sera erano andate a vuoto, in seguito al ritiro del primo candidato ufficiale della DC, Leone, alla decisione dei gruppi d.c. di astenersi in attesa di nuovi sviluppi.
Ecco dunque gli ultimi risultati:
Presenti e votanti: 939;
Nenni (votato da PCI, PS’, PSIUP): 380;
Saragat (voti del PSDI e di parte della DC): 311;
Martino (PLI): 60;
De Marsanich (MSI): 40;
Fanfani 13; Paolo Rossi 13; Leone 7; voti dispersi 4; schede bianche 106; schede nulle 5.
La diciannovesima votazione si svolgerà stamane alle 11.

A questi risultati si è giunti dopo tre drammatiche giornate. La votazione di ieri mattina veniva generalmente considerata ancora interlocutoria; i d.c. infatti rinnovavano la loro astensione per consentire nel frattempo agli organismi dirigenti del partito di condurre avanti con gli altri gruppi le trattative sul nome di Saragat. Mentre quindi deputati e senatori e rappresentanti regionali andavano a deporre la loro scheda nell’urna, l’interesse dell’Assembler si spostava già sulla successiva votazione, quella pomeridiana, che avrebbe dovuto portare ad un esito positivo. In altra parte del giornale diamo la cronaca politica della giornata, fitta di incontri, di prese di posizione diverse e contraddittorie, dominata dal tentativo del gruppo doroteo di fare della candidatura di Saragat una candidatura di rottura del fronte di sinistra.
Fino alle 18,30 erano ancora incerte le posizioni dei vari gruppi e la situazione sembrava ancora aperta a diverse prospettive. Ma poco dopo venivano le decisioni: comunisti e socialisti confermavano nelle assemblee dei rispettivi gruppi il loro voto per Nenni; democristiani e socialdemocratici avrebbero votato per Saragat; i repubblicani scheda bianca, i liberali Martino, i missini De Marsanich. Sembrava tuttavia assai poco probabile che il gruppo dc ritrovasse, in questa votazione, la sua unità. E così, in effetti, avveniva. Saragat otteneva 311 voti, meno di quanti erano andati a Leone mercoledì 16 al primo scrutinio. Si consideri che, in teoria, per Saragat avrebbero dovuto votare 436 parlamentari, (399 d.c. più 48 socialdemocratici, meno 11 assenti tra cui lo stesso Saragat) e si avrà così la esatta sensazione dell’insuccesso della nuova operazione diretta dall’on. Rumor: circa 130 d.c. hanno rifiutato il loro voto alla nuova operazione.

Dalla parte opposta, Nenni otteneva invece tutti i voti del gruppo comunista, di quello socialista e del PSIUP: 380. La dissidenza d.c. si è espressa con una alta quota di schede bianche (106) e con un certo numero di voti dispersi tra Fanfani (13), Leone (7), Rossi Paolo (13).
Lo scrutinio era incominciato alle 20.13; cinquanta minuti dopo venivano comunicati i risultati. I primi dieci minuti di scrutinio sono stati i più emozionanti; il caso ha voluto infatti che le prime 150-200 schede uscite dall’urna portassero un netto vantaggio a Saragat. Si è avuta per un momento l’impressione che le adesioni al leader socialdemocratico fossero assai più consistenti del previsto: alle 20.20 Saragat aveva raggiunto i 75 voti e Nenni 60. Cinque minuti dopo però, alle 20,25, Saragat e Nenni erano pari: 95 voti per uno.
Il risultato è stato variamente commentato dall’Assemblea per qualche istante, tanto che il presidente ha sospeso la lettura delle schede; quindi ha dato mano al campanello e ha chiesto ironicamente: «Posso continuare?» e ha ripreso, con la sua lenta cadenza toscana, a leggere i nomi di Nenni, Saragat, Nenni, Nenni ancora. Alle 20.30 Nenni ha 172 voti. Saragat 135, le schede bianche sono 62. Nenni è ormai in testa e manterrà il distacco fino alla fine. Ancora qualche scheda strana: una è per Giovanni Saragat. Va interpretata come un voto per il figlio del ministro degli esteri? O è quello di un dc diviso fra la tentazione di votare per Giovanni Leone e il dovere di votare per Giuseppe Saragat? Ecco una scheda per Merzagora; una per Montini. L’on. Salizzoni tiene nota dei voti: vicino a lui, un deputato d.c . l’on. Violante, indifferente a tutto ciò lo circonda, legge un grosso volume di diritto.
Alle 20.50 Nenni ha 344 voti, Saragat 293. Poi Saragat risale un po’. Alle 21 il presidente legge i risultati definitivi e convoca per stamane la 18′ votazione.

Ieri mattina, la diciassettesima votazione era iniziata, puntualmente come di consueto, alle 11. Ancora affollate, soprattutto di familiari di parlamentari che hanno trascorso il Natale con i loro cari a Roma, le tribune del pubblico. Ma si intuiva che non ci sarebbero state novità di rilievo rispetto alla sedicesima «tornata»: essendo ancora in corso la riunione dei vari gruppi e le trattative, sarebbe stata, questa, una seduta interlocutoria
Se ne era avuta subito conferma vedendo che, come la sera prima, i dc passavano davanti all’urna dichiarando la propria astensione. C’è stato un episodio curioso: come al solito, il presidente del Consiglio, on. Moro, si è presentato in aula solo al secondo appello. Il deputato segretario incaricato della chiama ha annunciato: «Moro: vota suscitando» un improvviso moto d’interesse e un lungo brusio fra i parlamentari e nelle tribune.
Il presidente del Consiglio ha dovuto, visibilmente seccato rettificare: «No, no: mi astengo» ha detto; ed è passato rapidamente davanti all’urna. senza deporvi la scheda Alle ore 12.30. la votazione era finita: assenti, fra gli altri, Saragat e Scelba.
Alle 13 si aveva la comunicazione ufficiale dei risultati: presenti 921 (un po’ più che alla sedicesima votazione: la sera di Natale, infatti, i presenti erano stati 912). votanti 549, astenuti 372( tutti dc), Nenni 346 voti, De Marsanich (MSI) 40, Malagugini (PSIUP) 33, Paolo Rossi (PSDI) 10, Saragat 7, voti dispersi 9, schede bianche 103, schede nulle 1. Per Nenni avevano votato socialisti, comunisti e repubblicani; le schede bianche erano socialdemocratiche, liberali e monarchiche. I voti dispersi si erano distribuiti così: Fanfani 3, Martino (PLI) 2, Lina Merlin 1, Merzagora 1, Rodolfo Vicentini (oscuro deputato dc di Bergamo) 1, Antonino Cuttitta (un deputato monarchico) 1.


pag. 1 e ultima

Un comunicato della Segreteria
Il P.C.I. si opporrà ad ogni discriminazione
La manovra dorotea su Saragat respinta dal PCI, dal PSI e dal PSIUP – Vecchietti motiva il voto a Nenni
Il PSDI, dopo una trattativa con il PCI, subisce il ricatto democristiano e si espone alla sconfitta

Anche ieri, la elezione del Capo dello Stato è stata mandata a vuoto dalla ostinazione, ormai folle, dei dorotei. Non paghi della sconfitta cocente subita dalla candidatura Leone, i dc dopo due vergognose astensioni e il rifiuto di accettare la candidatura di Nenni hanno spostato i voti su Saragat. Ma la candidatura di Saragat, ieri sera, si è di nuovo arenata perché i dc l’hanno strettamente delimitata in funzione anticomunista, sorpassando in ciò la stessa inclinazione del PSDI. La conclusione è stata un’altra sconfitta politica della DC; infatti l’aver condizionato così pesantemente, in chiave «dorotea» il nome di Saragat ha fatto sì che i socialisti e i comunisti abbiano continuato a votare uniti per Nenni (che ha ottenuto nella 18^ votazione anche i voti del PSIUP) e che i repubblicani, che pure avevano manifestato il desiderio di riproporre la candidatura di Saragat, hanno votato prima per Nenni e poi scheda bianca isolando la DC e il PSDI.
La 18^ votazione, l’ultima di ieri sera, è stata esemplare del vicolo cieco in cui i dorotei hanno cacciato se stessi, la DC e il centrosinistra. Scomparso il nome di Leone, i due nomi in gara sono apparsi Saragat e Nenni. Ma mentre il primo riscuoteva solo 311 voti (pur essendo votato dai democristiani e dal PSDI, che insieme, sulla carta, sono 440) Nenni, appoggiato dal PCI, dal PSI e dal PSIUP passava in testa nettamente, con 380 voti. La sconfitta dorotea non è stata soltanto numerica, ma politica. La 18^ votazione, infatti, ha mostrato che la «dissidenza» è tutt’altro che rientrata, anche dopo il ritiro di Leone. Le schede bianche, infatti, sono 106, in massima parte dc. Se si aggiungono i 13 voti riportati da Fanfani e altri dispersi, l’opposizione antidorotea nella DC si presenta forte come non mai. La situazione, dunque, mostra con evidenza diverse cose essenziali: 1) I dorotei non sono in grado di eleggere un loro candidato senza trattare, chiaramente. con la sinistra e con il PCI; 2) Saragat non può passare con un appoggio democristiano di tipo doroteo, che lo ha staccato dal PSI e dal PRI e gli ha impedito la trattativa con il settore decisivo, quello del PCI; 3) Nenni è oggi il candidato più autorevole e più forte. La confluenza sul suo nome dei voti della sinistra democristiana potrebbe farlo eleggere.
La candidatura di Saragat, con il marchio doroteo impressovi sopra, era emersa con evidenza dall’ordine del giorno votato dal gruppo dc nella notte di Natale (da noi riportato in altra parte del giornale). Non appena delineatasi la manovra dorotea di continuare con le discriminazioni e sbarrare cosi la strada a soluzioni democratiche, il Partito comunista immediatamente reagiva prendendo posizione.

IL COMUNICATO DEL P. C. l.

La iniziativa comunista si è concretata in un comunicato della Segreteria del PCI. trasmesso ieri mattina anche ai gruppi parlamentari degli altri partiti.

«La segreteria del PCI — dice il comunicato — ricordando che già nel momento in cui decise di votare quale candidato per la Presidenza della Repubblica il compagno Umberto Terracini e, quindi, nel corso dei successivi scrutini, ha dichiarato sempre, nei ripetuti colloqui avuti con i segretari dei partiti e i presidenti dei gruppi parlamentari della DC., del PSDI, del PSI, del PSIUP, del PRI che i gruppi parlamentari comunisti avrebbero fatto convergere i propri voti sul nome di uno dei candidati della sinistra laica o democristiana (da Nenni a Saragat a Fanfani a Pastore) che più sicuramente avesse potuto raccogliere la maggioranza dei suffragi; preso atto che la candidatura Leone proposta dal gruppo doroteo della DC durante quindici scrutini ha dovuto alfine essere ritirata per la manifesta impossibilità di raccogliere attorno ad essa la necessaria maggioranza e la totalità degli stessi voti democristiani; presa conoscenza dei tentativi democristiani di reintrodurre nella ricerca di una nuova candidatura assurde preclusioni: riafferma che i comunisti possono dare i propri voti per la elezione di un candidato capace di raccogliere sul nome i necessari consensi democratici solo sulla base di una chiara trattativa che significhi rifiuto di discriminazione».

LA TRATTATIVA Dl IERI

L’iniziativa del PCI, come replica al tentativo doroteo di ingabbiare la candidatura di Saragat, trovava ampia eco in tutti i partiti interessati. Veniva in luce, con chiarezza, che la manovra dc poteva essere sventata e che, d’altra parte, la DC non era in grado – specie nelle condizioni in cui si trova il suo gruppo dopo le vicende degli ultimi giorni – di imporre un suo candidato.
In questo quadro avevano inizio una serie di contatti tra i rappresentanti del PCI, del PSI del PSDI, del PRI e del PSIUP che si prolungavano per tutto il pomeriggio. La segreteria del PCI e i presidenti dei gruppi parlamentari, avevano incontri con De Martino, Ferri e Tolloy per il PSI, con Tanassi e Cariglia per il PSI.
Secondo informazioni diffuse in tutti gli ambienti, nel corso dell’incontro con la segreteria del PCI, Tanassi, dopo avere illustrato la candidatura di Saragat, avrebbe chiesto al PCI il suo appoggio. Tanassi aggiungeva che tale richiesta era stata avanzata a tutti i partiti, ad eccezione del MSI. Successivamente lo stesso Tanassi, per motivi non noti, si rifiutava tuttavia di rendere pubblico il raggiungimento dell’accordo con il PCI.
Al termine degli incontri con Tanassi, poco prima della seconda votazione della giornata, Longo dichiarava: «Ci siamo visti con l’on. Tanassi, a proposito delle deliberazioni dei gruppi parlamentari del PSDI e delle questioni poste nel comunicato di stamane della nostra Segreteria».
Mentre presso la sede del gruppo parlamentare del PCI i rappresentanti socialdemocratici si incontravano con i rappresentanti comunisti, da parte della DC venivano diffuse veline ufficiose dalle quali si ricavava che il nome di Saragat sarebbe stato sostenuto soltanto nel quadro di una ben precisa delimitazione. I toni dorotei delle dichiarazioni democristiane a proposito della candidatura di Saragat, tornavano a mettere a dura prova la compattezza del gruppo dc e, naturalmente, del PSI e del PRI.
I socialisti, che come vedremo poi, avevano discusso nel corso della giornata il problema della candidatura di Saragat, non hanno accettato l’impostazione discriminatoria dei dorotei. Dopo avere deciso che il nome di Saragat sarebbe stato votato solo se appoggiato da apporti «qualificanti» in senso democratico, i socialisti, vista la impostazione «dorotea» e il cedimento dinanzi ad essa dei dirigenti del PSDI, decidevano di tornare a votare per il proprio candidato.
I repubblicani, dal canto loro, vista cadere una singolare proposta di La Malfa per una votazione su Saragat dei diversi settori a titolo «autonomo» rilasciavano la seguente dichiarazione: «Il gruppo repubblicano, preso atto che il PSDI ha presentato la candidatura dell’on. Saragat e che tuttavia il PSI mantiene contemporaneamente la candidatura dell’on. Nenni, di fronte a tale deplorevole e mortificante stato di cose decide di votare scheda bianca». Negli ambienti politici della sinistra si osservava, ieri sera, che malgrado il tentativo di riversare sui propri alleati le colpe dorotee, anche la dichiarazione repubblicana suonava come una sconfitta netta dell’«operazione Saragat» così come l’ha congegnata Rumor, incapace di convogliare attorno al suo nuovo candidato anche i voti dei fedelissimi repubblicani.

IL PSIUP VOTA NENNI

Un altro effetto preciso della strategia «dorotea» sempre più fallimentare (pare trattisi di una strategia particolarmente jettatoria, che rischia di bruciare tutto ciò che tocca) era il fatto che mentre la candidatura di Saragat veniva condannata a una nuova sterilità, la candidatura di Nenni si rafforzava. Dopo l’annuncio democristiano dell’«operazione» su Saragat (nei termini discriminatori che si è visto) il PSIUP decideva di riversare i suoi voti su Nenni. Ciò avveniva in sede di 18^ votazione, e al termine della giornata che aveva visto la trattativa bloccata dai «no» dorotei a soluzioni democratiche. Il gruppo del PSIUP si riuniva e dopo avere esaminato la situazione Vecchietti rilasciava una dichiarazione nella quale si afferma: «La candidatura dell’on. Saragat, sostenuta dalla DC, induce i gruppi del PSIUP a votare questa sera la candidatura dell’on. Nenni, per sottolineare l’impegno del PSIUP di opporsi a candidature che tendono a rendere impossibile un voto unitario delle sinistre laiche e cattoliche. Per questo incontro il PSIUP continuerà a votare».


pag. 1 e ultima

Grande battaglia democratica

L’OSTINAZIONE «dorotea» ha impedito ancora ieri l’elezione del Capo dello Stato, ma ha ricevuto in questi ultimi tre giorni colpi decisivi, ha subito una serie di sconfitte da cui non potrà riaversi: ecco il fatto nuovo di cui tutta l’opinione pubblica democratica deve prendere pienamente coscienza, per continuare a sostenere fino al successo completo la battaglia che la sinistra e un vasto arco gli forze democratiche stanno conducendo con vigore nel Parlamento.
La candidatura di destra dell’on. Leone, per la quale il gruppo dirigente della DC, è giunto alla vergogna di una accettazione dei voti fascisti, è crollata ed è liquidata. Il partito di maggioranza relativa si è trovato per 24 ore senza candidato, ed è stato costretto a ripiegare su una umiliante astensione dal voto in affannosa ricerca di una via d’uscita. E poiché questa via d’uscita la si è infine voluta ricercare, ancora una volta, sulla base della preclusione e della discriminazione a sinistra, il gruppo dirigente della DC è stato di nuovo e clamorosamente battuto, coinvolgendo nell’insuccesso il nome di Saragat, che in altre condizioni avrebbe potuto risultare vittorioso.
Non solo. La prepotenza e la volontà di sopraffazione «dorotea» hanno ottenuto, ieri, il brillante risultato di aver fatto apparire sul video, di fronte a milioni di italiani, solo il nome di candidati non democristiani! E non basta. Il candidato «laico» sul quale il gruppo dirigente della D.C. ha puntato, per cercare in questo modo di dividere la sinistra contro l’inclinazione stessa dell’alleato socialdemocratico, è rimasto in seconda posizione: clamorosa e rinnovata conferma di quale sia, di qual il vero equilibrio politico del Parlamento del 28 aprile, di quale peso vi abbia la sinistra unita, di quanto vasto sia l’arco di forze che dai comunisti raggiuge le sinistre cattoliche.
LA prepotenza «dorotea» è dunque impastata di impotenza, oltre tutto, e viceversa la convergenza delle sinistre – dal PCI, al PSI, al PSIUP – si è ancora estesa. ln pari tempo, le sinistre cattoliche sono rimaste validamente attestate – con le schede bianche – su una posizione che respinge le manovre faziose della direzione minoritaria del loro partito, ed anzi questa dissidenza si è ancora accresciuta.
Nei giorni scorsi, le indecenti pressioni esercitate dal gruppo di potere doroteo e da centri di potere estranei al Parlamento non erano valse a far passare Leone e a far prevalere un blocco di destra; e cosi, ieri, le procedure antidemocratiche, le misure disciplinari contro esponenti della sinistra interna, e infine le nuove candidature escogitate con finalità discriminatrici e al di fuori di una leale trattativa, non sono valse neppure ad attenuare la dissidenza di quella vasta ala della D.C. che chiede una scelta democratica, ed anzi l’hanno stimolata determinando anche altre fughe in altre direzioni
Rinuncerà ora e finalmente il gruppo dirigente della D.C., almeno una parte di esso, alla sua volontà sopraffattrice e alla sua linea discriminatrice, o si piegherà a quella trattativa di cui il nostro partito ha indicato limpidamente i termini e anche i possibili sbocchi nominativi (Nenni, Saragat, Fanfani, Pastore), e a cui un vasto areo di forze democratiche è disposto? In caso contrario, questo arco di forze che dall’estrema sinistra si estende alle sinistre cattoliche sarà in grado di giungere ugualmente a una soluzione, che sia pure lentamente va maturando. Giacché le cifre di ieri hanno precisamente dimostrato due cose da cui non si scappa: che senza i voti comunisti né Saragat né altri candidati sostenuti con spirito di parte possono passare neppure se ottenessero i voti di tutto il centro-sinistra; che PCI, PSI, PSIUP e sinistre cattoliche possono eleggere da soli Nenni o un altro proprio candidato.
QUANDO si trattò, dieci anni fa, di battere un altro memorabile tentativo di sopraffazione democristiana – la legge-truffa – la battaglia parlamentare durò mesi e fu vittoriosa, giacché al fittizio successo parlamentare dei capi d c. corrispose una sconfitta politica nel paese di cui, ancora oggi, il partito cattolico sconta le conseguenze.
Oggi la battaglia è diversa, per la sua natura e per le condizioni ben più favorevoli in cui si svolge, ma è analoga su un punto-chiave: oggi come allora si tratta di sconfiggere fino in fondo – dopo che già in gran parte è stato sconfitto – un tentativo di sopraffazione che neppure tutta la DC, ma un suo gruppo vorrebbe consumare non contro questa quella forza politica avversaria, ma contro il Parlamento e contro la democrazia: tale è la posta in gioco.
Si tratta di piegare un gruppo di potere, un coacervo di interessi personali, un proposito autoritario, affermando la sovranità del Parlamento, sicché trionfi la volontà d’una maggioranza democratica e il Capo dello Stato sia eletto come espressione di tale volontà. Diffonda pure la stampa reazionaria il suo veleno qualunquista sulla presunta paralisi delle istituzioni. La verità è che il Parlamento sta respingendo con successo una sopraffazione. L’opinione pubblica – di un paese dove un elettore su tre vota all’estrema sinistra e dove la stragrande maggioranza è schierata per un piena sviluppo democratico – appoggia questa battaglia del Parlamento e dei suoi settori democratici e ne attende una conclusione limpida e conforme alle proprie aspirazioni.

Luigi Pintor


pag. 3

Drammatico natale a montecitorio e nei gruppi democristiani
TRAVOLTO LEONE: PER DUE GIORNI LA DC INCAPACE DI TROVARE VIE D’USCITA
La 15°, 16° e 17a votazione – La sospensione di Donat Cattin – Dimissioni di Pastore dal governo?
Due vergognose astensioni del gruppo di maggioranza


Alle tre della notte tra Natale e Santo Stefano, la riunione dei gruppi democristiani in corso alla CIDA a Via Nazionale dalle 10 della sera prima, si concludeva con un ordine del giorno che dava a Rumor, Gava e Zaccagnini un ampio mandato per trattare con gli altri gruppi il nome di un presidente della Repubblica« anche non democristiano».
La violenta crisi che si era aperta nella DC dal giorno in cui l’Assemblea si era riunita, mercoledì 16, per la 1a votazione per il Presidente della Repubblica, e che aveva avuto la sua più drammatica manifestazione nella notte di Natale – con la lettera di rinuncia di Leone e con la sospensione dal partito di due autorevoli leader della sinistra, Donat Cattin e De Mita – trovava un suo primo punto di approdo in una decisione che suonava come una confessione di sconfitta del gruppo doroteo.
L’ordine del giorno con cui, praticamente, anche se non se ne faceva il nome, si autorizzavano Rumor, Gava e Zaccagnini ad aprire le trattative sul nome di Saragat veniva approvato con votazione palese dopo cinque ore di animata discussione, con 194 sì, 82 no, 10 astenuti e 102 assenti. I no provenivano prevalentemente dal gruppo fanfaniano.
Alla assemblea dei gruppi, la prima che la DC ha convocato dall’inizio della lunghissima seduta, si era giunti dopo una giornata ed una notte che possono giustamente definirsi le più drammatiche di queste pur drammatiche giornate.

Sarà bene quindi riassumere gli avvenimenti cosi come si sono svolti.

Vigilia Di Natale

Giovedì 24. Si ricorderà che era stata indetta per la mattinata la quindicesima votazione. Erano le 10.30 precise quando il presidente Bucciarelli Ducci ha annunciato che la seduta era ripresa. L’assemblea era stanca e nervosa. La sera prima i voti di Leone erano saliti a 406. le schede bianche erano scese a 120. Nenni si era stabilizzato sui 353 voti. L’on. Leone, nel «transatlantico» scherzava sul fatto che i suoi consensi continuavano ad oscillare, a scendere e a salire. «Sono come un malato di pressione: una volta è troppo alta, una volta è troppo bassa». «Ieri Sera era alta» commentava un deputato al suo fianco. L’on. Leone apriva le braccia con aria rassegnata.
Probabilmente tuttavia, egli non immaginava a quale duro salasso la sua candidatura sarebbe stata nel corso della quindicesima votazione. L’aria era incerta. Se la segreteria dc fosse riuscita a far salire anche di poco i voti del suo candidato ufficiale, probabilmente si sarebbe immediatamente indetta anche la sedicesima votazione per arrivare, nel corso del 24 dicembre, alla elezione definitiva «È Natale – diceva qualche pessimista del fronte laico e i d.c. piuttosto che rinunciare ad andare in famiglia, votano tutti Leone». ln questa atmosfera si procedeva alla votazione ed allo scrutinio che dava però i seguenti risultati: Leone calava di colpo a 386 voti, Malagugini 37, Nenni 348. Le schede bianche salivano paurosamente a 152. Un lungo commento dell’Assemblea sottolineava il significato di questa ultima cifra, la più significativa di tutte. La dissidenza democristiana resisteva sulla barricata della scheda bianca: Leone ormai non sarebbe più passato.
Nell’emiciclo il clamore aumentava: qualcuno chiedeva che venisse subito indetta la votazione successiva. Bucciarelli Ducci, però, convocava nel suo ufficio tutti i capigruppo per definire assieme l’ora e il giorno della successiva votazione. La DC aveva chiesto infatti al Presidente (anche se non in via ufficiale) una sospensione di due o tre giorni. La richiesta, motivata con argomentazioni di carattere «umano» e «festivo», nascondeva tuttavia la voglia di prendere tempo e di premere ancora, fino al limite della resistenza psicologica, sui deputati dissidenti.
La riunione dei capigruppo si protraeva per circa quaranta minuti.
quella sede i comunisti ribadivano la loro ferma opposizione ad ogni vacanza dell’Assemblea. Al massimo, essendosi già tenuta una votazione alla vigilia di Natale, la successiva poteva essere fissata ber il giorno dopo. Del resto anche nel corso della precedente settimana non sempre erano state indette due votazioni al giorno. Ciò avrebbe conciliato la legittima esigenza dei parlamentari di avere qualche ora di riposo per la notte di Natale, con la esigenza vieppiù fondamentale di non interrompere i lavori dell’Assemblea. Così si concludeva infatti e alla ripresa il presidente annunciava che la seduta era convocata per il giorno dopo, 25 dicembre alle ore 19. La decisione veniva accolta tra contrasti nell’aula: i liberali avrebbero voluto tener seduta nel pomeriggio stesso, molti democristiani avevano sperato in un rinvio fino a sabato o a domenica.
La sia pur breve sospensione che consentiva soltanto a pochi parlamentari delle regioni più prossime a Roma di trascorrere in famiglia la mattina del 25, veniva improvvisamente interrotta dall’arrivo della notizia della sospensione dalla DC degli onorevoli Donat Cattin (sindacalista) e De Mita (base). Quasi contemporaneamente la radio dava il testo della lettera di rinuncia di Leone, consegnata a Rumor alle 19 del 24 dicembre.

La lettera diceva: «Alla mia lettera di ieri, che ribadiva un proposito annunciato fin dai primi scrutini, non è stata da me data pubblicità per vostre affettuose premure. L’esito della quindicesima votazione, sulla quale ancora una volta per senso di responsabilità non esprimo per ora un giudizio, mi induce ad insistere fermamente perché la DC dia immediato corso al ritiro della mia candidatura. Desidero esprimere, infine, un fervido ringraziamento ed augurio a quanti mi hanno sostenuto con stima e simpatia. Con cordiali saluti: Giovanni Leone».
La lettera alla quale Leone faceva riferimento era più lunga. Eccone il testo:
«Carissimi, decisi di accettare la candidatura per la presidenza della Repubblica perché nasceva da una scelta democratica fatta a scrutinio segreto nell’ambito dei gruppi parlamentari della DC e col criterio della maggioranza assoluta che conseguii fin dalla prima votazione. Il fatto che il mio nome promanava da una corretta procedura, la mia posizione di democristiano estraneo alle correnti, gli otto anni di presidenza della Camera tenuta con imparzialità largamente riconosciuta, il disinteressato servizio reso nel giugno 1963 assumendo in un momento delicatissimo la responsabilità di formare il governo, mi consentivano di ritenere che sul mio nome nella difficile competizione la DC si schierasse compatta mirando ad ottenere in tal modo la convergenza dei voti dei partiti democratici, dai quali per altro avevo più volte ricevuto i più ampi riconoscimenti di lealtà e di equilibrio. Ricordo che fin dai primi scrutini avevo deciso di mettere a disposizione la mia candidatura, sulla quale si era formata una larga, ma tuttavia non incisiva convergenza dei voti dc; ed avevo altresì individuato la natura e le cause dello sconcertante fenomeno sul quale in un momento così delicato ed impegnativo devo per ora rinunziare a dare indicazioni e formulare un giudizio. E’ mio dovere rilevare che dal settimo scrutinio si aggiunsero i voti del PLI. Ho accettato le premure dl non dar corso a tale mia decisione al fine di consentire che si maturasse una nuova soluzione. Torno ora ad esprimere la stessa volontà serena e la stessa offerta, in quello spirito di personale distacco e dedizione al partito di cui credo di aver dato sempre prova. Con cordiali saluti. Giovanni Leone».

Notte tra il 24 e il 25

Immediatamente si riuniva, in Piazza del Gesù, la direzione della DC con la partecipazione, come osservatori, dei fanfaniani Bosco e Malfatti, dei rappresentanti di «Forze nuove» Vittorino Colombo e Galloni e degli scelbiani Restivo e Scalfaro.
Nel corso di questa riunione dopo avere atto della lettera di Leone, la direzione della DC gli ha espresso la «gratitudine del partito per il servizio che anche in questa occasione, egli ha reso alla DC con alto, fedele e generoso spirito di sacrificio».
Compiuto questo formale atto di omaggio, Rumor prendeva atto del fallimento della candidatura ufficiale e si incominciava a discutere delle prospettive. Venivano fuori i soliti nomi che da dieci giorni rimbalzano a Montecitorio dalla tribuna stampa al «transatlantico», da questo ai gruppi, dalle direzioni dei partiti ai Comitati direttivi: Pastore, Saragat, Piccioni e, per una eventuale soluzione extraparlamentare, Ambrosini, Carbone, Brosio, Campilli. Si discuteva a lungo sulle varie ipotesi: sull’uno o l’altro gravavano preclusioni, obiezioni, dubbi. Pare comunque che fin da quella riunione della notte di Natale i rappresentanti di «Forze nuove» esprimessero, in linea di massima, il loro consenso per una candidatura laica che avrebbe potuto essere quella di Saragat. La direzione si concludeva «rinnovando un ampio mandato al segretario politico del partito ed ai presidenti dei gruppi parlamentari per la soluzione del problema della scelta del capo dello Stato ». A questo punto – era ormai quasi mezzanotte – gli osservatori hanno lasciato piazza del Gesù e la direzione ha esaminato i provvedimenti disciplinari da adottare contro Donat Cattin e Ciriaco De Mita. Si è fatto ricorso, per questo, al secondo comma dell’art. 80 dello Statuto della DC che consente, in casi di particolare urgenza, alla Direzione di adottare essa stessa un provvedimento disciplinare (da sottoporre poi per la definitiva approvazione al collegio dei probiviri).
I due leader sindacalbasisti erano esplicitamente accusati di «indisciplina politica». Mercoledì scorso infatti, dopo il ritiro di Fanfani e di Pastore, Rumor, Gava e Zaccagnini avevano convocato al gruppo dc separatamente Bosco e Forlani (fanfaniani), Donat Cattin e De Mita (Forze Nuove).
A tutti fu chiesto di mettere fine alla «dissidenza» manifestatasi con l’aumento delle schede bianche. I due fanfaniani affermavano di essersi sempre attenuti alla disciplina del gruppo, mentre Donat Cattin e De Mita non facevano mistero di aver votato scheda bianca perché sul candidato ufficiale erano confluiti i voti dell’estrema destra. Sulla base di queste dichiarazioni, la Direzione deliberava la sospensione per un anno a carico di Donat Cattin e di sei mesi a carico di De Mita.
I due parlamentari e i loro amici non accettavano la sanzione. Nella mattina di Natale, anzi, circolava la voce di un gesto di solidarietà compiuto da Pastore, dimettendosi dal governo. «È impossibile – faceva notare qualcuno – che Pastore si sia dimesso dal Governo, perché il governo non esiste ormai più». Non si trattava solo di una battuta. Mai come nella giornata di Natale si è avuta l’impressione che la divisione interna, i contrasti politici, le rivalità personali all’interno della DC. fossero esplosi ormai nel modo più drammatico e quasi irreparabile al di là delle possibili momentanee ricuciture.
Pastore non confermava le sue dimissioni (ma tutti sapevano che aveva in tasca la lettera) ma Donat Cattin (sottosegretario alle Partecipazioni Statali) però annunciava ormai pubblicamente nel corso della serata le sue dimissioni.

Affollato il Transatlantico

Sempre nelle prime ore del pomeriggio del 25 si riuniva la direzione del PCI e subito dopo l’assemblea dei gruppi comunisti. Anche il PSI riuniva i suoi deputati e senatori. Sia gli uni che gli altri decidevano di continuare a votare per il compagno Nenni. I contatti tra i direttivi del PCI e del PSI si erano intensificati nelle giornate di giovedì e venerdì in attesa che la DC esprimesse dopo il ritiro di Leone un suo candidato.
I contatti che invece fino a mercoledì sera pure c’erano stati tra autorevoli esponenti della DC e del PCI venivano interrotti. Evidentemente si profilava già, dietro questo riserbo d c., il tentativo del gruppo dirigente doroteo di far avanzare e di far propria poi la candidatura di Saragat caratterizzandola come una candidatura di centro-sinistra. Il tentativo tuttavia fallirà nel corso della giornata del 26.
Nel primo pomeriggio di Natale il Transatlantico cominciava di nuovo ad affollarsi: i d.c. apparivano smarriti, privi ormai di un candidato ufficiale, divisi all’interno, con un segretano politico sottoposto a critiche da ogni parte, in una atmosfera di reciproci ricatti, la DC giungeva alla sedicesima votazione (del 25 dicembre) per il Presidente della Repubblica senza sapere cosa fare. Si parlava di votare Bertone, il vecchio senatore novantenne superstite del vecchio Partito Popolare; ma il gesto rischiava di apparire pateticamente ridicolo. Lo stesso Bertone, del resto, interpellato, escludeva questa possibilità.
Alla fine giungeva l’ordine di astensione. Alle sette precise si dava inizio alla votazione. Incomincia la chiama: «Adamoli GeIasio». Il compagno Adamoli si avvicina all’urna e vota. «Agrimi Alessandro». Il senatore dc imbocca il corridoio, alza la testa verso il tavolo della presidenza e borbotta : «Astenuto». Il compagno Palermo, dai banchi comunisti grida: «Viva la Repubblica! Vergognatevi». Da ora in poi ogni democristiano che dichiara la sua astensione viene seguito da qualche commento dell’assemblea : l’atmosfera è pesante. Il sen. Gronchi, ex presidente della Repubblica, depone la sua scheda nell’urna. Un applauso accompagna questa manifestazione di serietà.
Si astengono i due delegati regionali dc Coniglio e Corrias; si astengono gli altoatesini.

L’astensione dei d.c.

Quando arriva il turno di De Mita alla prima «chiama» egli risulta assente. E’ assente anche alla seconda ed alla terza. De Mita ha quindi rifiutato anche questa volta di attenersi agli ordini del gruppo. All’on. Salvi che gli faceva notare più tardi il nuovo atto di indisciplina commesso, De Mita rispondeva ironicamente che non aveva sentito la chiama. «Stavo parlando con Scelba». (Anche Scelba infatti non ha preso parte alla votazione).
Donat Cattin invece si presenta e dichiara la sua astensione. Passa anche Fanfani con aria marziale e alle ore 20 è chiamato Leone. Passa disinvolto e dichiara la sua astensione. I deputati dc applaudono.
Applaudono anche i liberali. «Ipocriti» grida il sottosegretario socialista Marino Guadalupi. Dalla tribuna distingue l’on. Moro che si avvicina cautamente al corridoio del voto, mentre nell’aula fa un gran silenzio.
Le spalle un po’ curve, il passo molle e il sorriso sulle labbra, egli si avvicina e sussurra al segretario: «Astenuto». A questo punto sui banchi missini scoppia un coro di insulti: «Buffone, Traditore». Con il suo mesto sorriso sulle labbra, Moro infila la porta di destra e se ne va. Ma in aula Siamo ormai all’incidente. Rosato e Salvi, assieme al sottosegretario Pezzino dc si rivolgono ai missini gridando concitati: «Da quanta gente avete preso i soldi?». Reagiscono Manco e Gray che si gettano contro i deputati dc. I parlamentari sono già quasi alle mani quando si intromettono i «questori» aiutati da un folto gruppo di commessi.
Il presidente richiama tutti alla calma: «Siamo in un seggio elettorale, onorevoli. Deve essere mantenuto a tutti i costi l’ordine». La sua voce sembra sempre più supplichevole mano a mano che si fa più vivace lo squillare della campanella. Finalmente. anche questo incidente è sedato e si torna a votare.
Al secondo appello, vota Pastore, vota lo scelbiano Agostino Greggi alzando le mani davanti all’urna con un gesto di resa. Lo scrutinio incomincia alle ore 20.40: milioni di italiani, nella sera di Natale, sono davanti ai televisori e sentono scandire quasi ininterrottamente il nome di Nenni. Questa sera, in aula, nessuno segna più i voti; i risultati sono scontati. E’ una sorta di pausa (ma quanto carica di significato) con cui si chiude il decimo giorno di scrutinio, la sedicesima inutile votazione.
Tutte le divisioni, gli errori, le incertezze, le debolezze, i contrasti, i rancori del gruppo dirigente del partito di maggioranza vengono alla luce nel corso di quest’ultima votazione; si raccolgono attorno alla cifra di 368 astenuti; un gesto di impotenza che condanna un partito.
Lo scrutinio, dato il minor numero di votanti, dura solo 25 minuti: esce ancora qualche scheda isolata per Manlio Brosio, segretario della NATO, per Ferdinando Carbone presidente della Corte dei Conti, per Pella e Paolo Rossi. Alle 21,15 il presidente comunica il risultato all’emiciclo affollato. Il 17° scrutinio è convocato per il giorno di Santo Stefano, alle ore 10,30 del mattino. Ma non sarà nemmeno questo a dare la fumata bianca.

Miriam Mafai


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Dichiarazione di Longo sull’astensione della DC

Nella serata di venerdì dopo la 16a votazione, il compagno Luigi Longo rilasciava ai giornalisti la seguente dichiarazione:

«L’astensione al sedicesimo scrutinio da parte dei gruppi del Partito democristiano, che ha nel parlamento la maggioranza relativa e che dirige il governo, sottolinea in modo indubitabile la responsabilità dei dirigenti della DC nell’aver fino ad ora impedito l’elezione del Presidente della Repubblica. L’ostinazione nel sostenere per quindici votazioni una candidatura respinta fin dal primo momento dalla grande maggioranza del parlamento ha portato la DC. dopo l’inevitabile ritiro dell’on. Leone, al fatto sconcertante di non poter nemmeno partecipare alla votazione.
I dirigenti della DC debbono a questo punto prendere atto del loro insuccesso e decidersi a trattare su basi serie con tutti I gruppi democratici per arrivare rapidamente alla soluzione che il paese attende».