L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1985 FRANCESCO COSSIGA – L’elezione

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L’UNITA’ E I PRESIDENTI: 1985 FRANCESCO COSSIGA – L’elezione

La elezione dei Presidenti della Repubblica Italiana

L’UNITÀ

ORGANO DEL PARTITO COMUNISTA ITALIANO Quotidiano / sped. abb. postale / Lire 600                         * *Anno 62° n. 137 / MARTEDI’ 25 GIUGNO 1985

EMANUELE MACALUSO Direttore
ROMANO LEDDA Condirettore
GIUSEPPE F. MENNELLA Direttore responsabile

 

 


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Al primo scrutinio con 752 voti.
Determinante l’apporto dei parlamentari comunisti
COSSIGA SUBITO ELETTO
Prevale l’intesa delle forze costituzionali. L’Italia saluta Pertini, grande presidente
Alle 17,52 il superamento del quorum – Circa 150 defezioni nella maggioranza
Natta sottolinea «novità e portata politico-istituzionale» dell’elezione
Giuramento il 9 luglio (ma si parla di un anticipo).  Craxi: «rimpasto» subito

 

ROMA — Francesco Cossiga è stato eletto ieri al primo scrutinio, con 752 voti su 979 votanti, presidente della Repubblica. Prima di lui soltanto Enrico De Nicola, nel lontano 1946, era riuscito a passare alla prima votazione. Un successo, quello di Cossiga, reso possibile dal metodo della partecipazione di tutte le forze costituzionali tanto al momento della designazione che nel passaggio finale del voto nell’aula di Montecitorio. Determinante è stato l’apporto dei «grandi elettori» comunisti e della Sinistra indipendente: sono stati i loro 320 voti a permettere di raggiungere e superare il quorum altissimo (674 voti) che la Costituzione prescrive per I primi tre scrutini. E in verità, basta scorrere i dati per calcolare che i voti della sola maggioranza pentapartitica non sarebbero stati sufficienti nemmeno al quarto scrutinio, con il quorum sceso a 506.

Al nuovo presidente della Repubblica — l’ottavo della serie —  la notizia dell’avvenuta elezione è stata recata dal presidente della Camera, Nilde Jotti, che ha diretto i lavori dell’assemblea elettorale. Il giuramento di Cossiga è previsto per il 9 luglio, giorno in cui scade II mandato di Sandro Pertini. Ma ieri sera voci a Montecitorio, non confermate né smentite dal Quirinale, accreditavano l’intenzione dl Pertini di dimettersi il 1° luglio. Scontata la soddisfazione di De Mita per il ritorno di un democristiano al Quirinale, le reazioni a caldo degli altri leader politici permettono forse di azzardare sin d’ora qualche interpretazione della fase politica aperta dall’elezione-lampo di Cossiga. È stato Alessandro Natta a sottolineare la «novità e la portata politico-istituzionale dell’elezione avvenuta sulla base di una partecipazione» di tutte le forze costituzionali. E il repubblicano Spadolini a sua volta ha ribadito come, a giudizio del Pri, solo «una maggioranza istituzionale fosse capace dl rispondere all’attesa della nazione, e anche dl raccogliere l’eredità di Pertini». Fredde invece le valutazioni socialiste, a conferma dl una delusione che ha trovato espressioni anche clamorose nell’assemblea degli elettori del Psi, ieri mattina. A proclamazione avvenuta, in serata, Craxi ha manifestato «soddisfazione» ma è parso soprattutto preoccupato di confermare un imminente rimpasto governativo, a scopo preventivo evidentemente. Quindi le rituali dimissioni del governo nelle mani dei Capo dello Stato non saranno stavolta pura formalità.

All’elezione dl Cossiga si è arrivati ieri pomeriggio dopo che le assemblee dei vari partiti convocate nella mattinata avevano sciolto gli ultimi dubbi. I passaggi decisivi erano naturalmente rappresentati dalla riunione del 283 «grandi elettori» comunisti e da quella, di poco successiva, dei 119 socialisti. Nell’assemblea del Pci è stato il segretario generale del partito a proporre il voto favorevole all’attuale presidente del Senato e a spiegare le ragioni di questo orientamento. La personalità dl Cossiga — ha detto Natta —ci è sembrata degna e adeguata al ruolo di Capo dello Stato, perciò riteniamo possibile un nostro consenso e un’assunzione di corresponsabilità. Al tempo stesso riteniamo — ha sottolineato ancora Natta — che questo sbocco unitario nella vicenda presidenziale significa per noi che nel quadro democratico e costituzionale daremo sviluppo, con vigore e coerenza, alla nostra iniziativa e azione politica per un’alternativa democratica. La notizia della favorevole decisione comunista, presa all’unanimità, ha rappresentato in definitiva l’ultimo semaforo verde necessario all’elezione di Cossiga. Sono seguiti a ruota, i pronunciamenti formali del .grandi elettori. repubblicani, socialdemocratici, socialisti. I missini, esclusi dalla discriminante antifascista ribadita da De Mita anche alla vigilia, scagliavano invece improperi contro il segretario democristiano e decidevano dl deporre nell’urna scheda bianca. I radicali annunciavano invece che al momento del voto si sarebbero recati a rendere omaggio alla lapide di Giorgiana Masi. De Mita, quando lo ha saputo, si è arrabbiato sul serio: «I radicali hanno dimostrato di essere degli ascari». Di chi? «Non lo so», ha risposto il segretario dc con l’aria di chi fa uno sforzo per contenersi.

Al voto si è andati comunque in un’atmosfera, a differenza del passato, assai distesa. Ma le urne hanno riservato qualche sorpresa: non tanto nel prevedibile numero dl voti dispersi, quanto nella consistenza del pacchetto delle schede bianche, che assommavano alla fine a 141. Ora, è facile fare i conti: dal momento che gli elettori missini erano 63, un’ottantina di rappresentanti della maggioranza devono aver deposto nell’urna scheda bianca. Ma si può fare anche un altro facile calcolo. Su 979 votanti quelli che hanno detto di no a Cossiga (tra bianche e dispersi) sono stati 227. Se a questi si aggiungono i 322 elettori comunisti e della Sinistra indipendente, si arriva a 549. Sottraendo questo numero a quello complessivo del votanti — 979 – risulta che lo schieramento della maggioranza pentapartitica ha dato a Cossiga solo 430 voti. Che sarebbero risultati insufficienti anche se il quorum fosse stato di soli 506 voti, cioè la maggioranza assoluta che si adotta dalla quarta votazione in poi.

Appare dunque del tutto fondato il rilievo di Natta sull’apporto del voti comunisti: «Il Pci — ha detto il segretario generale del partito — ha avuto un peso determinante in questa circostanza. Perciò — ha aggiunto rispondendo alla domanda dl un giornalista — non abbiamo bisogno di rimetterci nel gioco, ci siamo già». Natta ha quindi rivolto «il più cordiale e deferente augurio» a Cossiga («siamo certi che per le sue qualità e per la stessa limpida e ampia investitura democratica, saprà essere il Presidente di tutti gli italiani»); e ha reso «ancora una volta omaggio all’opera straordinaria di Sandro Pertini» (di cui — ha ricordato — «avevamo auspicato la conferma»). De Mita a sua volta ha ribadito la validità del metodo seguito. Si è pentito di aver escluso il Msi dalla trattativa?, gli è stato chiesto: «No, perché credo nel valori della Repubblica», ha risposto. E ha aggiunto: «se il metodo che abbiamo seguito in questa circostanza prevalesse non scomparirebbe lo scontro politico ma il confronto verrebbe ricondotto nelle regole giuste». Di parere radicalmente opposto Donat Cattin, che con aria da Cassandra parla di «prospettive di cambiamento nella vicenda politica italiana», lamentando che la Dc e gli alleati non abbiano voluto dar retta ai suoi «avvisi». E Craxi? Il presidente del Consiglio si è rallegrato per la «bella giornata, dal momento che Il Parlamento ha trovato subito il consenso più vasto per eleggere il Capo dello Stato». Dopo di che ha chiuso rapidamente l’argomento per passare a quello che sembrava stargli più a cuore: «La verifica per il rilancio della coalizione governativa per questa seconda fase della legislatura». Ma non si farà In autunno?, ha chiesto un giornalista, probabilmente a conoscenza della propensione democristiana allo slittamento: «E perché rinviare le cose?», ha ribattuto Craxi, «la verifica va fatta subito», ovviamente con relativo rimpasto. Allora rimpasto di governo nel prossimi giorni? De Mita ha risposto con l’aria di chi non ha nessuna fretta: «Adesso — ha detto — vado a farmi tre giorni di vacanza».

Antonio Caprarica


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L’editoriale

A FRANCESCO COSSIGA, eletto ieri Presidente della Repubblica con il voto dei partiti che dettero vita alla Costituzione, e con il contributo determinante del Pci, vadano il nostro deferente saluto e il nostro augurio più sincero e caloroso di buon lavoro al servizio della democrazia italiana.

Il nostro pensiero — e quello di tutti gli italiani — non possono non rivolgersi anche, in questo momento, a Sandro Pedini. È stato, quello della presidenza Pertini, un settennato straordinario e indimenticabile, in un periodo difficile per la democrazia italiana, per il prestigio delle istituzioni repubblicane e per i rapporti fra i cittadini e la politica. Da grande protagonista e simbolo della Resistenza, Pertini ne ha riaffermato nel modo più alto i valori irrinunciabili. Con Pertini, la moralità della politica e del comportamento degli uomini politici ha trovato un punto di riferimento al vertice dello Stato. Pertini ha saputo incarnare, con grande saggezza, con consapevole e alto impegno, ma anche con spontanea immediatezza, i sentimenti migliori del nostro popolo, e ha dato nuovo vigore democratico alla più alta magistratura della Repubblica. Egli ha trovato, in tanti momenti, le parole giuste, quelle che diecine e diecine di milioni di italiani avrebbero voluto dire e sentire: per la pace e il disarmo, per la democrazia e la libertà contro il terrorismo, per la giustizia sociale. Con Pertini è cresciuto lo stesso prestigio dell’Italia presso i popoli e i governi di tutto il mondo ai quali egli si è sempre rivolto con amicizia e sentimenti di pace, ma anche con un grande senso dell’indipendenza, della dignità, della cultura e della storia del nostro paese. AI tempo stesso ha saputo parlare alla gioventù italiana. Le centinaia di migliaia di ragazzi che in questi anni sono stati ricevuti al Quirinale e hanno scambiato opinioni con il Presidente conserveranno, per tutta la vita, il ricordo delle parole di pace, di libertà, di giustizia, di incitamento a lottare e lavorare per un mondo migliore, che Pertini ha loro rivolto.

Sandro Pertini fu designato ed eletto, sette anni fa, da un arco di forze che comprendeva tutti i partiti che dettero vita alla Costituzione basata sui principi dell’antifascismo. Lo stesso è avvenuto per Francesco Cossiga. Questo è il dato più significativo e importante della giornata di ieri: un fatto politico rilevante da cui partiamo per esprimere la fiducia che il nuovo Presidente sappia assolvere al suo alto incarico di supremo garante della Costituzione in tutte le sue parti e del corretto funzionamento delle regole democratiche in tutti i loro aspetti. IL PCI è stato fra gli artefici principali della costruzione democratica e costituzionale in Italia. Non siamo stati noi, nelle passate elezioni del Presidente della Repubblica, a perseguire logiche di schieramenti contrapposti e di divisione fra le forze democratiche: questo lo hanno fatto altri, e in primo luogo la Dc. Noi abbiamo sempre saputo distinguere fra la logica di schieramenti di maggioranza e di opposizione e la necessità di una riaffermazione, attraverso la scelta del capo dello Stato, della più larga unità nazionale, democratica e costituzionale. Ed è per questo che non abbiamo avuto difficoltà ad aderire all’impostazione unitaria che è stata data dalla De, per la prima volta, alla elezione del Presidente della Repubblica, al di là della rivendicazione, in verità del tutto impropria, della cosiddetta alternanza fra laici e cattolici.

È per questo che, pur avendo prospettato anche altre valide candidature, a cominciare da quella di Pertini, abbiamo fatto confluire i nostri voti sulla candidatura istituzionale di Francesco Cossiga che del resto avevamo già votato, nel 1983, come presidente del Senato. Con Cossiga abbiamo avuto, certo, negli anni scorsi, momenti di tensione e anche, qualche volta, di scontro: e abbiamo sottoposto a critica aspetti della sua attività e posizioni da lui assunte come presidente del Consiglio e anche come presidente del Senato. Questo appartiene alla storia delle tormentate vicende politiche del nostro paese. Ma anche in queste fasi non sono venuti mai meno, nella nostra valutazione, un giudizio e una considerazione equanimi delle caratteristiche di fondo della sua personalità. Francesco Cossiga è un sincero antifascista per una formazione che gli viene da lontano: dal suo ambiente familiare, dalle vocazioni autonomistiche di uomo della Sardegna, e da una convinzione maturata nel corso di una lunga esperienza politica. Tutti gli riconoscono qualità di galantuomo, nel senso migliore di questa parola, e di democratico, anche nel tratto umano. Né dimentichiamo la sua lealtà, anche nei momenti di scontro più acuto, nel confronti del Pci, e soprattutto il suo grande impegno nella lotta contro il terrorismo, i suoi atteggiamenti nel drammaticissimo periodo del rapimento e dell’uccisione di Aldo Moro, e anche le sue dimissioni da ministro dell’Interno, fatto del tutto inusitato nella vita politica italiana, quando egli volle così significare il suo tormento doloroso per non essere riuscito a impedire, come uomo di governo, il tragico epilogo di quella vicenda che avrebbe cambiato il corso della politica nazionale.

OGGI Francesco Cossiga è il Presidente di tutti gli italiani. Non appartiene più al partito di cui è stato uno dei dirigenti, e nemmeno all’arco delle forze costituzionali che lo hanno designato. Viviamo una stagione politica di aspri contrasti e lacerazioni. Non è stata e non è una scelta nostra. Al contrario, noi vogliamo operare per aprire una nuova fase nei rapporti politici e democratici e nella vita delle istituzioni, nel convincimento che questo sia essenziale per avanzare sulla via della trasformazione e del rinnovamento dell’economia, della società, della stessa politica, e per affrontare così problemi acutissimi che oggi assillano la vita del nostro popolo e investono le prospettive stesse di progresso, di sviluppo, di indipendenza e di pace dell’Italia. La condizione prima perché questo possa realizzarsi è il rispetto pieno della Costituzione, l’osservanza, da parte di tutti, delle regole del giuoco democratico. Certo, anche la Costituzione può e deve essere rivista per far fronte a nuove esigenze: ma i necessari mutamenti non possono che essere ricercati in Parlamento e avvenire nel rispetto delle norme di revisione che la stessa Costituzione prevede. Il modo come è avvenuta l’elezione di Francesco Cossiga può essere un segno importante nella direzione giusta Esso non p», non deve restare un fatto isolato. Ed è in questo spinto — e con il rispetto che gli abbiamo sempre manifestato ed oggi doverosamente gli manifestiamo — che noi auguriamo a Francesco Cossiga di riuscire a guidare, e ad esserne il garante democratico e costituzionale, la complessa fase politica che il paese attraversa.

Gerardo Chiaromonte


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La cronaca della giornata

ROMA — Quando alle 17,52 Nilde Jotti pronuncia per la 674ma volta il nome di Francesco Cossiga, i grandi elettori esplodono in un lungo, caloroso applauso. Il presidente del Senato ha raggiunto, prima della fine dello scrutinio, l’altissima maggioranza dei due terzi del plenum prevista per l’elezione al primo scrutinio. L’applauso parte da sinistra, dilaga per i settori dei gruppi laici e per quelli della Dc sino a lambire i banchi dei missini. Che sono immobili. È l’immagine fisica dello schieramento politico fondatore della Repubblica e che ha dato vita alla Costituzione. Nilde Jotti continuerà a leggere diecine e diecine di schede per Cossiga, sino a quando il neo-eletto presidente avrà raggiunto quota 752 voti. In quel momento Cossiga si alza dal seggio posto accanto a quello del presidente della Camera e riceve l’abbraccio della compagna Jotti contraccambiando con un baciamano. Andrà al Senato dove, come vuole la tradizione, riceverà la comunicazione ufficiale dell’avvenuta elezione. Trascorre ancora un quarto d’ora per la verifica delle schede sul banchi degli scrutatori, in presidenza; poi breve scampanellata per attirare l’attenzione della gremitissima assemblea e l’annuncio nella forma regolamentare da parte di una sorridente Jotti: presenti 979, votanti 977, astenuti due (lotti e Cossiga), maggioranza 674, hanno ricevuto voti: Cossiga 752 Forlani 16 Pertini 12 Camilla Cederna 8 Zaccagnini 7 Pantani 5 Andreotti, Tina Anselmi, Boldrini e Bobbio 3 Ingrao, Melis e Pannella 2 Voti dispersi 11 Schede bianche 141 Schede nulle 7.

Al momento in cui Nilde Jotti comunica i voti ottenuti da Cossiga si rinnova l’applauso nel confronti dell’ottavo presidente della Repubblica. E subito cominciano le illazioni sulla provenienza dei voti (circa 150) che sono mancati a Cossiga per realizzare il plenum teorico dello schieramento a lui favorevole. Ci sono state anzitutto le schede bianche (una sessantina sono dei missini) e poi i voti dispersi su altri nomi (sicura solo l’attribuzione di quelli alla giornalista Cederna, dovuti al gruppo Dp). La congettura più diffusa era quella che, accanto a defezioni nel gruppo dc, una quota consistente di schede bianche dev’essere attribuita a quella parte dei gruppi socialisti che, come riferiamo in altra parte del giornale, si era pronunciata contro Cossiga nel corso dell’assemblea del grandi elettori del Psi. Dal canto loro i radicali, in assenza di un candidato ferreamente pentapartito, non hanno partecipato al voto. La seduta si era aperta tre minuti dopo le quattro del pomeriggio in un clima di grande solennità ma anche di notevole serenità. Per la novità della probabile elezione di Cossiga a prima botta (come solo 39 anni fa per il primo capo dello Stato repubblicano Enrico De Nicola); e soprattutto per l’intesa raggiunta tra le forze fondatrici della Repubblica. L’appello procede rapidissimo, tanto che verrà battuto ogni record di brevità dl uno scrutinio. Nilde Jotti dà la precedenza su tutti a Tina Anselmi, che domenica s’è rotta una gamba ma non ha voluto mancare al suo dovere di grande elettrice. Poi prega i colleghi di far votare in anticipo gli ex presidenti della Repubblica Saragat e Leone. Per quest’ultimo c’è l’applauso di un gruppo di parlamentari dc, ma c’è anche un fischio. Alle spalle del banco della presidenza, nella tribuna riservata al corpo diplomatico, siede tra gli altri il nunzio apostolico in Italia, Carbone. Tutte le tribune sono affollatissime: di giornalisti, fotografi e operatori della televisione, di ex parlamentar!, dl pubblico.

Un’ora e un quarto dopo averla aperta, Nilde Jotti dichiara chiusa la votazione. E comincia a leggere, con voce forte e chiara, le schede che le vengono passate dal segretario generale della Camera, Longi. Una risata quando il presidente della Camera legge il nome di Craxi (il presidente del Consiglio si volta verso Martelli: «Sei stato tu!»), ma nemmeno questo scuote Cossiga che, emozionato e teso, si carezza continuamente il mento con una mano. Poi la seduta non ha praticamente più storia. Prima di trasferirsi al Senato, Cossiga si trattiene qualche istante nello studio che è riservato al presidente del Senato a fianco del Transatlantico. Lì riceve, tra le prime, le congratulazioni della stampa parlamentare, che gli vengono portate dal Presidente Peppe Morello, ed una telefonata di rallegramenti della moglie del presidente della Repubblica, Carla Pertini.

Giorgio Frasca Polara


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Nilde Jotti porta l’annuncio ufficiale a palazzo Madama

ROMA — È stata Nilde Jotti, presidente della Camera, a comunicare ufficialmente a Francesco Cossiga la sua avvenuta elezione a presidente della Repubblica. Nilde Jotti è giunta a Palazzo Madama — sede del Senato — poco dopo le 19, accolta dalle note della banda dei carabinieri e dal saluto di tre plotoni dell’aviazione, della marina e dell’esercito. Poi l’incontro nello studio di Cossiga, aperto, per l’occasione, ai giornalisti, agli operatori televisivi e ai fotografi. Qui, il presidente della Camera ha letto il processo verbale della seduta da poco conclusasi a Montecitorio e l’esito della votazione. Fra gli applausi del piccolo pubblico presente (c’erano i vice presidenti del Senato Giglia Tedesco e Giorgio De Giuseppe, i questori, parlamentari, i segretari generali delle due Camere, alti funzionari) Cossiga e Nilde Jotti si sono scambiati un abbraccio.

Dopo aver espresso «gli auguri di tutto il Parlamento», la Jotti ha detto: «Il suo, onorevole Cossiga, non sarà un compito facile soprattutto dopo un capo dello Stato che è stato un grande presidente. Ma un così ampio concorso di forze, cosi rappresentativo del Paese e che ha portato ad un ampio suffragio al primo scrutinio — e questo è un fatto nuovo e significativo — l’aiuterà a condurre avanti bene il suo lavoro. Ella, presidente, saprà assolvere al suo compito nell’interesse del Paese».

Francesco Cossiga ha risposto con un breve discorso ringraziando calorosamente Nilde Jotti. «Sono serenamente consapevole — ha detto il neoeletto — del rilievo dei compiti e della profondità dei doveri che assumerò». E poi, riferendosi agli altri organi costituzionali, ha espresso «la ferma intenzione di essere presidente della Repubblica in collegamento e collaborazione, ognuno nel suo ordine, tutti al servizio del Paese, di tutte le Istituzioni dello Stato, garante del loro reciproci rapporti e della loro conduzione conforme ai principi della Carta costituzionale». Il suo «primo saluto», il nuovo presidente della Repubblica lo ha rivolto «al Parlamento, depositario della sovranità nazionale». E subito dopo: «II mio devoto rispetto e il mio fraterno affetto vanno a Sandro Pertini, che ha retto la Repubblica in modo mirabile e irripetibile, legando ad essa definitivamente i sentimenti e le speranze dell’intera nazione. A lui un saluto deferente e cordiale, memore dell’affetto profondo e dell’aiuto di cui sempre mi ha gratificato». Dopo aver rivolto «un saluto commosso all’amatissima terra di Sardegna», Cossiga ha indirizzato il suo pensiero «con affetto, orgoglio e dedizione al popolo italiano…alla gente comune, a quella che lavora ad ogni livello, nelle fabbriche, nei laboratori di ricerca, nel campi, negli uffici pubblici e in quelli privati; che insegna e studia nelle università e nelle scuole; che scrive, stampa e legge; che cura II male o il male soffre negli ospedali; che patisce la disoccupazione, l’emarginazione, il carcere; che prega nelle chiese e nel templi. Questa gente —ha concluso Cossiga, fra gli applausi — la nostra gente, ha fatto e fa l’Italia. E di questa gente io voglio essere il presidente; sono uno di loro, che la Costituzione e il Parlamento hanno posto tra loro, a lavorare con loro e per loro».

Esaurita la cerimonia della comunicazione ufficiale dell’esito della votazione, Francesco Cossiga ha poi trattenuto a colloquio Nilde Jotti. Precedentemente, nello studio del neo-eletto si erano recati a far visita l’ex capo dello Stato Giovanni Leone e il presidente del Consiglio Bettino Craxi accompagnato dal capogruppo socialista alla Camera Rino Formica. Uno del primi atti del presidente Cossiga, nella sua nuova veste, sarà la visita che compirà oggi a Torrita Tiberina per rendere omaggio alla tomba di Aldo Moro. Poi è in programma un viaggio in Sardegna.

Giuseppe F. Mennella


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La giornata di Pertini
Prima in gita a Bologna, poi a cena con il neoeletto
Rientrato in aereo nella serata, ha telefonato al suo successore e ha mangiato con lui
«Ero certo della sua elezione»

Dalla nostra redazione

BOLOGNA — Sandro Pertini ha fatto l’ultimo sgambetto al cerimoniale. Le prime immagini sulla elezione del suo successore ha voluto seguirle alla televisione, lontano da Roma, ospite della nipote Emilia, in un piccolo paese a due passi da Bologna. Una visita inattesa, che ha preso tutti alla sprovvista, ma che ha riservato al presidente un lungo applauso, la consueta simpatia della gente. Pedini non ha voluto commentare la giornata, le immagini della televisione. Ad una bambina che davanti alla piccola azienda del nipote gli chiedeva: «Perché non farà più il presidente?», Pertini, sorridente, ha risposto: «Sette anni sono già troppi, bi-sogna lasciare il posto ad un altro». I giornalisti sono stati tenuti alla larga da un servizio d’ordine particolarmente deciso: «No, no, nessun discorso per carità», ha detto Pertini all’arrivo ad Anzola Emilia, il piccolo comune disteso sulla via Emilia, meta della sua visita. Un vero e proprio blitz dunque. La notizia della visita si è diffusa in mattinata nelle redazioni dei giornali e ha lasciato tutti un po’ increduli. Perché Pertini a Bologna, anzi ad Anzola? Non c’è voluto molto per scoprire che Pertini veniva a far visita ad Emilia, figlia del fratello Giuseppe che morì di crepacuore quando Sandro, allora ventottenne, era esule in Francia. Emilia è sposata con Sergio Aloisi, titolare di una piccola azienda, la Silicart, che produce carta siliconata.

Il presidente è giunto all’aeroporto di Forlì alle 12,15 (lo scalo bolognese è temporaneamente chiuso per il rifacimento della pista) e dopo aver ricevuto l’applauso della improvvisata folla che si era radunata, ha raggiunto l’hotel della città dove si è intrattenuto per il pranzo. Il menù di stretta osservanza romagnola (per fare qualche esempio: piadina, passatelli di Forlì, garganelli del Passatore bagnati con Trebbiano e Sangiovese) ha pienamente soddisfatto l’ospite d’onore che dopo il consueto assaggio di grappa ha commentato: «Bella Forlì, se avessi saputo che si mangiava così bene sarei venuto qui cento volte». Poi in auto il presidente ha raggiunto Bologna e quindi Anzola. La fabbrica del nipote (fa parte di un vasto complesso industriale che confina con la via Emilia) era stata isolata. Polizia a carabinieri non hanno permesso a nessuno di entrare per sottolineare il carattere privato della visita. Soltanto una piccola folla assiepata davanti ai cancelli ha potuto vederlo e applaudirlo.

La Maserati presidenziale è giunta davanti al capannone alle 15.07. Emilia che vestiva un’elegante abito di seta e Sergio Aloisi emozionati e commossi hanno abbracciato calorosamente lo zio che appariva di ottimo umore. Una rapida visita all’azienda che occupa una cinquantina di operai, ha preceduto la consegna di un mazzo di fiori da parte dei lavoratori; una ragazza si è rivolta al Capo dello Stato dicendo: «Vuole che le metta un garofano all’occhiello?». Pertini ha raccolto il fiore con la mano e ha raggiunto lo studio del nipote dove la televisione trasmetteva già le immagini in diretta da Montecitorio. Pertini, secondo il racconto dei nipoti, ha seguito le immagini con attenzione, commentando i preliminari con l’ironia che lo contraddistingue: «Sono le stesse cose che ho vissuto anch’io», ha detto. Poi, quando sullo schermo è comparsa la parlamentare democristiana Silvia Costa ha aggiunto: «A lei va tutta la mia passione, la mia simpatia». «Volevi che durasse ancora la presidenza?», hanno chiesto i nipoti. «Scherzi — ha risposto il Capo dello Stato — è una cosa stancante». Poi c’è stato l’incontro di Sandro Pertini con i giovani, i bambini. Davanti al capannone erano ad attenderlo decine di ragazzi e ragazze della locale squadra di basket. Pertini ha dimostrato di gradire moltissimo le strette di mano dei piccoli atleti. Una mini-delegazione, composta da due bambine, si è avvicinata con un pallone di basket interamente coperto dalle firme dei piccoli cestisti e da una scritta: «sei il vero campione, tu sei e sarai sempre il nostro Presidente». Katia, una bambina di 12 anni gli ha chiesto di continuare ma Pertini, sorridente, ha risposto: «Sette anni sono troppi, bisogna lasciare il posto ad un altro». La breve visita è finita qui.

La Maserati si è allontanata verso Forlì dove, alle 17,15, l’aereo presidenziale è ripartito per la capitale. «La visita che aspettavamo dopo lo scadere del mandato —ha detto Emilia Pertini — è stata decisa venerdì scorso quando ho ricevuto una telefonata dal Quirinale. Credo che Sandro Pertini abbia così voluto finire in bellezza. Era già stato nostro ospite nel ’79, poi ci siamo scritti tante volte». Ha commentato i fatti di questi giorni, le vicende politiche?, è stato chiesto. «No — ha risposto Emilia —noi parenti abbiamo la consegna di non parlare di politica».

Toni Fontana


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…e poi a cena

ROMA — Presidente, è vero che lei andrebbe via dal Quirinale prima della scadenza del mandato? Sandro Pertini, a fianco di Francesco Cossiga davanti all’hotel Eden, attorniato da una piccola folla di cronisti ed operatori, guarda falsamente sorpreso il giornalista: «Chi glielo ha detto? Ma guarda un po’ … Questo qui legge anche nel pensiero degli altri». Per qualche minuto, lo scambio di battute prosegue fitto. Pertini ha saputo dell’elezione di Cossiga via radio, mentre su un Dc 9 militare tornava a Roma dalla visita in Emilia Romagna. Ma ne era certo fin dalla mattina. «Ero sicuro che sarebbe stato eletto, prima di partire stamani ho lasciato detto «avvertite il presidente Cossiga che stasera andiamo a mangiare insieme… Però paga lui». E così, infatti, ecco assieme i due presidenti.

Il neoeletto è andato a prendere Pertini poco dopo le 21 in piazza di Trevi. Gli ha portato in dono una preziosa pipa, poi assieme si sono recati in via Lodovisi per la cena promessa, sulla terrazza dell’Eden, col suo splendido panorama su Villa Medici. Coi giornalisti parla soprattutto Sandro Pertini, Cossiga sorride, qualche volta annuisce. I due si rivolgono l’un l’altro chiamandosi presidente», finché ad un certo punto Pertini interrompe: «No, tu sei presidente della Repubblica. Io sono un presidente scaduto». E di seguito, sorridendo: «Scaduto, mi raccomando… Non scadente!». Continua il botta e risposta col giornalisti. Presidente, il discorso di Cossiga… Pertini interrompe: «Ha detto delle cose sagge». È stato un discorso «pertiniano»? «Ognuno ha il suo temperamento», risponde Pertini e cambia discorso mostrando la pipa che il neoeletto gli ha regalato: «Guardate che bella…» Ma non è un atteggiamento elusivo. Pertini, dell’elezione di Cossiga, appare felicissimo. «Se mi avessero detto: “Si scelga un presidente” — precisa — avrei fatto un nome solo, Cossiga». E, ad un’ulteriore richiesta di giudizi, risponde così: «Sono io, ricordate, che l’ho nominato presidente del Consiglio quando era isolato, invecchiato di dieci anni, ma puro ed innocente».

Il colloquio coi giornalisti rischia di durare troppo a lungo, e di rovinare la cena nella terrazza del lussuoso albergo, dove da ore maitres e camerieri sono in agitazione. E così i due presidenti cercano di distrarsi con le ultime battute. «E vero, pagherò io la cena», dice Cossiga, ma Pertini conquista l’ultima battuta: «È la regola. Chi prendeva la laurea doveva pagare agli altri. Lui si è laureato presidente della Repubblica e allora il conto lo deve pagare lui». Ed infine entrano nell’hotel, a braccetto, liberandosi dell’assalto della stampa. Salgono alla terrazza, un’ultima posa seduti assieme al tavolo del ristorante per la gioia del fotografi, e finalmente eccoli soli. Parlano, sorridono, fra la discreta curiosità degli altri avventori. Per la cronaca il menù, consumato a lume di candela: consommè, cotoletta alla milanese, patate e birra.


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Questo giornale e questi sette anni

L’Unità si associa al saluto che gli Italiani danno oggi a Sandro Pertini. Per sette anni questo giornale ha seguito il Presidente in patria ed all’estero ed ha informato i suoi lettori sulle iniziative del Capo dello Stato con obiettività ma anche con partecipazione. Grande è stata l’opera del Presidente per collegare, con il suo dire ed il suo fare, non solo la presidenza della Repubblica, ma le istituzioni ai cittadini in tutti I passaggi più difficili di questi difficili anni. Il suo messaggio è stato rivolto a tutti gli italiani senza distinzioni di classe, di idee, di religione, come deve fare il Presidente di tutti gli Italiani. E così è stato capito e raccolto. Lo avvertiamo nel momento in cui Pertini conclude il suo settennato. Ma non possiamo ignorare o tacere il fatto che il suo messaggio è stato rivolto particolarmente alle classi la-voratrici ed ai giovani. Con Pertini al Quirinale i lavoratori, tutti i lavoratori, hanno avuto un riferimento nel punto più alto delle istituzioni ed hanno potuto misurare così non solo il legame di un vecchio socialista col mondo del lavoro ma anche il peso nuovo che le classi lavoratrici si erano conquistato in tante battaglie. Ecco perché questo giornale che è stato partecipe di queste battaglie ha sentito una particolare vibrazione per l’opera del Presidente.

In questi sette anni l’Unità ha cercato di trasmettere correttamente e pienamente il messaggio del Capo dello Stato con un’autonomia ed una libertà che il Presidente ha sempre rispettato. Ed oggi a nome di tutti i nostri lettori e di quella grande parte del mondo del lavoro che si riconosce nel nostro giornale gli rivolgiamo un saluto grato e carico di rammarico. Tuttavia due cose ci sono presenti. L’opera di Pertini al Quirinale non è certo revocabile ed il segno lasciato nello svolgimento della vita democratica non è cancellabile. Le classi lavoratrici delle quali Pertini da settant’anni rappresenta le aspirazioni più alte, hanno dimostrato di avere fra i loro uomini più eminenti il Capo dello Stato che ha saputo unire e rappresentare tutti gli Italiani. È questo un fatto storico incancellabile e che influirà sull’avvenire del paese. Il secondo dato che vogliamo ricordare è l’azione che Pertini continua a svolgere con il prestigio e la forza che gli provengono da tutta la sua storia e da questo grande settennato, per unire le classi lavoratrici e collegarle a tutte le forze di progresso, per fare avanzare ancora gli ideali di giustizia e di pace che hanno contrassegnato la sua opera. L’Unità continuerà a raccogliere gli stimoli politici, civili e umani che verranno dal senatore a vita Sandro Pettini, che verranno dal compagno Sandro Pertini.

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